di Paolo Pagliaro
Trent’anni dopo tangentopoli, la corruzione oggi non è più un modo per finanziare quasi sistematicamente la politica. Ma esiste, è più nascosta, e quindi più pericolosa soprattutto in questa fase di grandi investimenti pubblici per il Piano di Ripresa.
Presentando al Parlamento la sua relazione annuale, il presidente dell’Anac Giuseppe Busìa ha proposto un profilo aggiornato della corruzione. Raramente abbiamo la maxitangente. Ci sono invece fenomeni di finte consulenze e contratti paralleli, un terreno scivoloso in cui spesso il privato corrompe il pubblico ufficiale. In cambio quest’ultimo ottiene consulenze, agevolazioni per sé o i propri familiari, incarichi, passaggi dal pubblico al privato con ingenti compensi.
Questo sistema è agevolato dal fatto che oggi ci sono ben 36.000 stazioni appaltanti e oltre 100.000 centri di spesa, dove ciascuno bandisce gare e gestisce appalti spesso senza averne le competenze economiche e informatiche o le dimensioni di scala per spuntare prezzi favorevoli. Grazie ai criteri suggeriti da Anac le stazioni appaltanti ora verranno ridotte di due terzi.
Due sono gli strumenti anti-corruzione più efficaci. Il primo, apprezzato anche in Europa, è la Banca dati nazionale degli appalti, un sistema unico di raccolta delle informazioni, da quelle del casellario giudiziario alle attestazioni di regolarità fiscale rilasciate dall’agenzia delle entrate, a quelle di regolarità contributiva rilasciate dall’Inps. Il secondo strumento è la cosiddetta vigilanza collaborativa, che prevede la consulenza di Anac nella fase di aggiudicazione di lavori, servizi e forniture.
Qualche risultato si sta ottenendo se nella classifica di Transparency International – che misura la corruzione percepita – l’Italia è migliorata nell’ultimo anno di dieci posizioni,