Come studiosa di storia austriaca (e più specificamente dell’Impero asburgico e dell’ascesa della Monarchia austriaca a grande potenza europea fra XVII e XVIII secolo) devo confessare che quando mi capitava di passare dalla Schwarzenbergplatz, una delle piazze più grandi e centrali di Vienna, nelle mie frequenti peregrinazioni fra archivi e biblioteche, ho sempre provato una sorta di personale disagio di fronte al faraonico monumento ivi fatto erigere dal comando sovietico in onore dell’Armata rossa. Tale immediata reazione da parte mia non era certo dettata dal disconoscimento del ruolo importante di quest’ultima nella lotta contro il nazismo nella seconda guerra mondiale e del fatto che erano stati proprio i sovietici a liberare per primi nel 1945 la capitale austriaca, subendo la perdita di migliaia e migliaia di uomini; il monumento in oggetto era indirizzato a ricordare proprio questo nel presente e perennemente al futuro.
La preoccupazione del futuro era così chiara che quando, dieci anni dopo, cessò l’occupazione alleata di Vienna e l’Austria riconquistò la sua piena sovranità, i sovietici (che pare avessero amministrato non proprio con i guanti di velluto il settore della capitale di loro competenza), prima di andarsene fecero mettere per iscritto nel Trattato relativo l’obbligo di provvedere alla sorveglianza e alla cura dell’opera in questione. Nella mia veste di storico e anche dal punto di vista più generale di ciò che può significare per la coscienza di un popolo però, non potevo esimermi dall’interrogarmi su cosa pensassero mai gli austriaci oggi (eredi come sono non solo di un pluricentenario e glorioso Impero ma anche di una innovativa Repubblica che era stata eretta sulle ceneri di quest’ultimo dopo la Prima Guerra mondiale) di fronte a un tale imponente monumento eretto nel cuore della loro capitale e in un luogo assai simbolico della loro storia per tutto ciò che il nome “Schwarzenberg” già di per sé è in grado di evocare. Si tratta di una delle più importanti famiglie (ancora oggi lo storico e magnifico palazzo dei Principi Schwarzenberg affaccia sull’omonima piazza) dalla quale provengono nomi di primo piano di politici, di militari, di alte sfere religiose che hanno segnato in profondità la storia austriaca.
Ancora più specificamente: la piazza rende omaggio, fin dall’Ottocento, e con un grande monumento equestre, alla figura del Generale asburgico Karl Philipp zu Schwarzenberg, vincitore a Lipsia contro Napoleone. Ma chi arrivi oggi nella Schwarzenbergplatz è incomparabilmente assai più colpito dalla maestosità e ampiezza del complesso monumentale eretto nel 1945 “in memoria degli eroi dell’Armata rossa”. All’interno di uno scenografico, vasto colonnato a semicerchio, costituito da ben ventisei colonne di marmo alte otto metri, si erge un ampio basamento che a sua volta supporta una colonna sulla quale è collocata la statua in bronzo (perfetto esempio di eroico realismo di marca sovietica) di un soldato che svetta in alto, quasi a dominare l’intera piazza, con una mitragliatrice sul petto e che ha nelle mani la bandiera e uno scudo dorato con i simboli dell’Unione sovietica. Numerose scritte in caratteri cirillici sull’architrave che lega le colonne, nel basamento della statua e in altre parti del complesso monumentale inneggiano poi variamente all’eroismo dell’armata rossa e del suo popolo, così come vi vengono riportati fra l’altro ordini e appelli di Stalin del 1945.
Al di là dell’esistenza del trattato di cui sopra, indirizzato a garantire la perennità di questo complesso monumentale, ogni volta che sono tornata a Vienna e particolarmente dopo il 1989 provavo sempre un certo stupore che esso non risultasse per nulla scalfito, in ogni sua parte, dagli eventi successivi al crollo dell’ URSS in poi, e il popolo austriaco continuasse a mantenerlo così integro, ivi comprese le scritte in cirillico (simboliche di originaria volontà di russificazione?) e anche quelle che vi compaiono in merito a Stalin, il quale ultimo se è vero che può figurare come liberatore di Vienna dal nazismo, è ora anche lui universalmente riconosciuto come campione esemplare dello spettro del totalitarismo che il mondo, a partire dall’Europa della prima metà del Novecento ha imparato a conoscere in tutti i suoi nuovi, devastanti aspetti interni ed esterni ai singoli Stati.
E la recente aggressione/invasione russa dell’Ucraina? La imperiale volontà di potenza di Putin che sicuramente si vedrebbe perfettamente espressa nel complesso monumentale di cui sopra quale erede per eccellenza, come egli si presenta, della imperiale potenza sovietica? Anche tutto questo ha lascito indenne quest’ultimo in forza dello scrupoloso rispetto da parte dell’Austria di clausole di un Trattato imposte dal vincitore di ieri? Nessuna forma di protesta da parte dei viennesi in questa piazza così altamente simbolica per i molteplici aspetti sopra richiamati?
Ma la civile protesta di un Paese libero e democratico contro una guerra che straccia ogni principio di diritto internazionale e di chi si schiera dalla parte del Paese aggredito è stata in grado di trovare altri mezzi di significativa espressività, pur lasciando integro il monumento di cui sopra e proprio nello scenario della Schwarzenbergplatz. Non solo in Austria ma anche altrove alcuni media hanno riportato il fatto che una mattina di marzo il muro privato di cinta del Palazzo Schwarzenberg (un muro lungo circa 100 metri di cui ovviamente i proprietari possono fare ciò che credono, dato che non hanno le mani legate da un trattato) è apparso integralmente dipinto con i colori della bandiera ucraina: l’ordine di ritinteggiare l’intero muro in tal senso è stato dato dall’ erede attuale dell’illustre casato e rapidamente eseguito in una notte da una squadra di operai. Beffa della storia? Certo è che chi si avvicina alla piazza e indirizza immediatamente il suo sguardo (secondo l’attenta scenografia del monumento) verso il maestoso e trionfale colonnato e all’intero complesso monumentale celebrativo dell’Armata rossa, vede il tutto sullo sfondo del lunghissimo muro dipinto con i colori giallo e blu della bandiera ucraina, colori che risaltano tanto più forte nei vuoti lasciati fra le bianche colonne di marmo…
(da mentepolitica.it)