di Paolo Pagliaro
Il fatto che a otto giorni dal voto non si conoscano ancor i nomi di tutti i 600 nuovi parlamentari è il minore dei guasti provocati dalla legge elettorale in vigore. Concepita nel 2013, quando si riteneva che la prima dote in politica fosse la spregiudicatezza, la legge che prende il nome dal suo proponente Ettore Rosato, avrebbe dovuto garantire la governabilità anche a spese, se necessario, della rappresentanza. E soprattutto avrebbe lasciato ai partiti - sottraendolo agli elettori - il potere di nominare i gli eletti.
Della governabilità è meglio non parlare, visto che nella legislatura appena conclusa i governi sono rimasti in piedi solo per l’alternarsi di tre maggioranze diverse. Quanto alla rappresentanza, anche in seguito a una legge che recide ogni legame tra eletto ed elettore, questa volta c’è stato il record storico delle astensioni. Non è difficile immaginare che la prossima volta potrebbe restare a casa la metà degli aventi diritto.
Il 25 settembre l’alleanza di centrodestra ha preso 12 milioni e 300 mila voti, due milioni in meno delle opposizioni che però – per la logica del maggioritario travasata in un sistema rimasto per due terzi proporzionale - pagano il fatto di non essersi coalizzate. Grazie ai meccanismi della legge, per eleggere un deputato del centrodestra sono dunque bastati i voti di 52.300 cittadini. Per eleggerne uno di centrosinistra ce ne sono voluti quasi 94 mila.
Tra i lasciti del Rosatellum va citato infine l’impegno con cui da otto giorni molti analisti si stanno interrogando sulle origini di un’onda nera che semplicemente non c’è stata.