Il 3 dicembre del 1992, 30 anni fa, un ingegnere inglese, Neil Papworth, uno dei tanti dirigenti della Vodafone, inviò, per sperimentare il nuovo servizio che la compagnia telefonica stava valutando, un messaggio di auguri ad un suo collega. Era il primo SMS che viaggiava nell’infosfera. Quel “Merry Christmas” compitato con una certa incredulità avrebbe trasformato ognuno di noi di un microtelegrafista globale in grado di collegarsi con tutto il mondo.
In realtà il capostipite che apre la porta sul nuovo mondo digitale fu il famoso LO, le due lettere che rimbalzarono fra i computer delle quattro principali università californiane che nel 1969 stavano sperimentando un futuristico collegamento internet. 23 anni dopo il messaggio dell’ingegner Papworth , che usava la rete telefonica e non Internet, però proponeva un linguaggio che divenne immediatamente contagioso. In meno di 20 anni, fino al 2010,la frenesia degli sms coinvolse almeno 5 miliardi di individui arrivando al ritmo di quasi 200 mila messaggi al secondo. Poi, l’avvento delle app digitali distolse gran parte degli utenti che cominciarono ad usare Whatsapp o Messenger per mantenere comunque tesi i fili virtuali che li collegavano con i propri interlocutori.
La combinazione fra la potenza di connessione che ci assicura internet, in tutte le successive versioni, e il linguaggio naturale che gli sms avevano introdotto, prima con messaggi di poche parole, poi con interi testi, infine con le registrazioni audiovideo, ha innestato uno straordinario e ormai irreversibile modo di vivere che un grande sociologo della rete, Manuel Castells, ha definito informazionalismo, in cui, spiega “ si produce informazione tramite informazione, generando cosi valore”. In queste poche parole si concentra il senso ormai della nostra quotidianità basata su un flusso, bi direzionale, questa è la novità, di informazioni che riconfigura completamente la nostra esistenza e l’insieme delle nostre relazioni sociali. L’sms di 30 anni fa viene generato da uno dei primi telefonini. Questo è il terzo elemento della nuova civiltà digitale, la mobilità individuale.
Se oggi ripensiamo ad ognuna delle nostre attività o relazioni, da quelle più intime e personali a quelle più formali e pubbliche non potremo non constatare come siano tutte formattate e organizzate dalla convergenza di questi tre elementi: la connettività in rete, la trasmissione di contenuti, la mobilità dei soggetti. Il collante di questi tre fattori sono oggi gli algoritmi, o comunque quella potenza di calcolo che, estraendo e rielaborando i dati, ci permette di avere servizi e prodotti altamente personalizzati. Persino la guerra in Ucraina oggi viene condotta mediante questi strumenti che supportano e a volte sostituiscono lo stesso combattimento convenzionale grazie ad un decentramento sociale delle informazioni più delicate e strategiche quali la localizzazione dei mezzi militari sul territorio e la permanente connessione della popolazione, anche sotto i bombardamenti.
Queste esperienze hanno ormai trasformato anche il profilo delle istituzioni e della politica, rendendo meno stabili e riconosciuti i primati dei vertici e sempre più incalzanti le domande di partecipazione e condivisione delle decisioni che affiorano dalla base.
Non possiamo non concludere che quelle poche lettere che 30 anni fa si trasferirono fra due primitivi telefonini hanno realmente prodotto uno sconquasso che ancora oggi stiamo cercando di metabolizzare. L’unica cosa che dovremmo aver compreso è che il commento che accolse quella sperimentazione – frivolezze per ragazzini- dovremmo evitare di ripeterlo, come invece istintivamente ci viene di fare quando ci troviamo sorpresi dinanzi ad un ulteriore svolta della tecnologia.