Alcuni giorni fa (il 3 dicembre) si è celebrata, con un modesto risalto mediatico, la “Giornata internazionale delle persone con disabilità”, ricorrenza proclamata nel 1981 dalle Nazioni Unite per promuovere i diritti e il benessere dei disabili. In tale circostanza, è giunto puntuale il contributo informativo dedicato alla violenza contro le donne con disabilità vittime di discriminazioni realizzato dall’”Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori” (Oscad) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. L’analisi dell’Osservatorio ha riguardato il periodo che va dal primo ottobre 2020 al 30 settembre 2021 e dal primo ottobre 2021 al 30 settembre 2022, esaminando i reati tipici della violenza di genere su donne con disabilità come i maltrattamenti contro familiari e conviventi (art.572 c.p.), gli atti persecutori (art. 612bis c.p.), la violenza sessuale (art.609 bis c.p.). Il quadro, desolante, che emerge dal monitoraggio rileva una leggera flessione dei delitti commessi (estratti dalla banca dati interforze) nei confronti delle donne con disabilità, anche minorenni, nei due periodi suindicati dove sono stati riscontrati rispettivamente 125 e 105 episodi di maltrattamenti contro familiari o conviventi, 15 e 6 episodi per il reato di atti persecutori ( c.d. stalking), 25 e 24 casi per quanto riguarda la violenza sessuale.
La violenza di genere è un fenomeno spregevole, universale e trasversale che, come sottolinea l’Oscad, “colpisce le donne di tutte le età, estrazioni sociali, religioni, etnie, in ogni parte del mondo”. Le donne con disabilità vittime di violenza vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori di sopraffazione e per questo si parla di “discriminazione multipla” basata su più fattori concomitanti come l’orientamento sessuale, la razza , l’età, la religione o le convinzioni personali.
In ambito internazionale il concetto di discriminazione cui sono sottoposte le donne con disabilità è stato riconosciuto dall’art.6 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009 che si integra con altre azioni di tutela previste dalla “Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” (sottoscritta dall’Italia nel 2012) e dalla “Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne” adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ( ratificata in Italia con la legge 132/1985).
In Italia, sebbene non ci sia una norma ad hoc che tuteli la persona con disabilità in quanto donna, trovano applicazione le norme in materia di violenza di genere (legge 119/2013, legge 69/2019) e a tutela delle persone disabili oltre al particolare che la disabilità della vittima è prevista quale elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato ( per esempio nel reato di atti osceni, in quelli non colposi contro la persona e contro il patrimonio, in quelli di cui alla cosiddetta Legge Merlin in tema di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione). L’analisi del fenomeno ha anche messo in evidenza che la violenza perpetrata nei confronti delle donne disabili, quasi sempre invisibile e sommersa, si verifica frequentemente in contesti di cura e assistenza o comunque all’interno di ambienti relazionali in cui la donna, a causa della sua disabilità, “..viene spesso considerata incapace di decidere autonomamente, inaffidabile, non idonea a costruire una propria vita affettiva e sessuale in autonomia”.
Non mancano, poi, gli abusi del “caregiver” che possono includere le minacce di abbandono o di danno, l’intimidazione o l’isolamento, la giustificazione o la colpevolizzazione della violenza alle quali si aggiungono le altre tipologie di violenze riscontrate all’interno delle strutture dove le donne sono ospitate per ragion di cura, come, ad esempio, essere chiuse in una stanza da sole, spogliarsi o rimanere nude di fronte ad altre persone, essere legate e subire altre forme di restrizioni, essere schiaffeggiate. Una sufficiente e corretta informazione sul tema può, forse, aiutare a far emergere quel sommerso che non viene denunciato per vergogna o senso di colpa, per paura di non essere credute, per il timore delle possibili ritorsioni di chi ha commesso l’abuso, di essere abbandonate dalla persona che si occupa di esse.