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direttore Paolo Pagliaro

Un bilancio povero
e le prospettive del Pnrr

di Giuseppe Bianchi

Per ogni governo, quale che sia la sua coloratura politica, l’approvazione annuale della legge di bilancio dello Stato è un percorso di guerra. La cosa è diventata più cruenta negli ultimi anni per ragioni note: le risorse disponibili crescono al passo lento di una economia che presenta ancora divari di competitività, a livello di territorio e di strutture produttive, in un contesto geo-economico che non volge al bello; i bisogni della collettività crescono, invece, sospinti dagli effetti disgreganti prodotti dalle diseguaglianze sociali, accelerati da eventi negativi (Covid, guerra).
La legge di bilancio è così divenuta una coperta corta, strattonata dai vari gruppi di interesse in funzione della loro forza rappresentativa e del consenso elettorale fornito al Governo in carica. Il suo tortuoso percorso di approvazione si muove all’interno di due vincoli: uno quantitativo, perché la spesa pubblica deve fare i conti con la sua sostenibilità in un Paese da anni altamente indebitato; l’altro, qualitativo, per la rigidità delle voci di spesa (si ricordi l’insuccesso delle successive “spending review”) che riducono gli spazi per investimenti addizionali nei settori strategici, come volano di una crescita innovativa, quali istruzione, ricerca, sanità, lavoro.
La speranza di uscire da tali strettoie è ora affidata al PNRR che propone un disegno riformatore che può contare, questa volta, su una disponibilità irrepetibile di risorse europee e nazionali. Si tratta di una strategia complessa che associa l’impiego delle risorse finanziarie con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale che richiedono modifiche profonde nei processi amministrativi dello Stato e nella riorganizzazione delle strutture produttive private.
Si può sostenere che si è in presenza di cambiamenti strutturali che richiamano altri precedenti nella storia vissuta dal Paese: quando, nell’immediato secondo dopoguerra, si è dovuta riconvertire una economia di guerra in una economia di pace; quando lo sviluppo industriale ha richiesto un ampio trasferimento di occupazione agricola nelle nuove organizzazioni produttive di massa, il cui dinamismo tecnologico organizzativo ha richiesto poi un continuo aggiustamento delle strutture occupazionali.
Le conflittualità sociali che emersero nel primo caso furono gestite, nel “piano casa”, dalle Parti sociali, tramite la contrattazione interconfederale con il supporto esterno dello Stato; nel secondo caso, per mezzo della costruzione di una nuova intelaiatura di rapporti tra Stato e Parti sociali che portarono al consolidamento della contrattazione collettiva di settore, allargata alla contrattazione aziendale, e alla creazione di un sistema inclusivo di welfare di Stato. Fu un percorso accidentato, favorito dalla crescita del reddito e dai progressi della produttività che portarono alla diffusione di un maggiore benessere collettivo.
Diverso è il contesto in cui si colloca l’attuazione del PNRR: dal lato istituzionale deve scontare l’indebolimento avvenuto delle istituzioni politiche e delle rappresentanze collettive delle imprese e dei lavoratori; dal lato economico-sociale occorre considerare che la nuova economia terziaria (il 70% del Pil) è più articolata di quella industriale nelle sue prospettive di crescita, includendo un terziario a basso valore aggiunto (i servizi alle persone, i lavori stagionali e in nero) che crea una domanda, in espansione, di lavori precari e a bassa remunerazione. La consapevolezza di tali difficoltà è un prerequisito per gestire il processo di modernizzazione proposto dal PNRR che richiede la necessaria cooperazione delle istituzioni e dei cittadini.
A tale proposito occorre dire che il tracciato del PNRR è ancora contenuto nelle segrete stanze di Palazzo Chigi. Ciò che è filtrato nell’opinione pubblica è la sua dimensione tecnocratica nel perseguimento di una economia più digitale, più sostenibile dal lato ambientale, più attrattiva per gli investimenti esteri, mentre la sua sostenibilità sociale che è ancora avvolta in un cuneo d’ombra. È vero che fra le sei missioni del PNRR è inclusa quella dedicata a favorire l’inclusione e la coesione sociale: ci sono risorse finanziarie da dedicare all’implementazione dell’occupazione soprattutto giovanile e femminile; al rafforzamento delle strutture dell’impiego per facilitare il loro ingresso nel mercato del lavoro; al miglioramento delle infrastrutture sociali, soprattutto dal lato dei servizi alle persone più disagiate alla rigenerazione urbana delle periferie più degradate.
Al di là della congruità delle risorse rispetto agli obiettivi enunciati, occorre però osservare che il loro impiego deve fare i conti con le resistenze di un apparato pubblico più orientato al rispetto delle procedure che non al confronto con i risultati attesi. Anche il sistema di relazioni contrattuali fra imprese e sindacati sembra restio a gestire in termini condivisi le innovazioni tecnologiche cariche di effetti sulle strutture occupazionali e sulle organizzazioni di lavoro. Difficile pensare che le cose possano cambiare nel breve periodo, soprattutto nei rapporti al vertice fra le diverse istituzioni. Il pessimismo della ragione può essere temperato dal metodo innovativo introdotto dal PNRR che prevede un impiego delle risorse cadenzato sulla realizzazione dei singoli progetti e sui risultati ottenuti. Il decentramento delle responsabilità gestionali porta le istituzioni coinvolte, sia pubbliche che private, a confrontarsi con le singole realtà, valutando gli interessi comuni, al di là di quelli rappresentati. Una opportunità perché possa crescere nel Paese la cultura della reciproca cooperazione che consenta, anche nelle situazioni più conflittuali, di individuare un punto di equilibrio in grado di fornire vantaggi a tutti i decisori.
Due le conclusioni.
La prima è che le risorse finanziarie indicano le opportunità per il rilancio del Paese ma sono le istituzioni a realizzarle: sia quelle dello Stato (politiche e burocratiche), sia quelle espresse da un pluralismo sociale organizzato nei suoi interessi collettivi e dotato di una autonoma capacità di regolazione che viene espressa mediante la contrattazione collettiva e la concertazione sociale. Questi spazi di libertà riconosciuti alla dialettica sociale hanno segnato e segnano il vantaggio competitivo delle economie di mercato rispetto a quelle governate da regimi autoritari.
La seconda indica che l’efficacia di questo gioco democratico allargato è tanto maggiore quanto più il disegno riformatore è in grado di offrire un equilibrio tra crescita economica e qualità della vita, tra sostenibilità ed equità. Sono le fasce sociali più deboli che devono essere rassicurate di non essere penalizzate dai cambiamenti strutturali proposti. Occorre rafforzare nell’opinione pubblica il convincimento che l’attuazione del PNRR è una occasione irripetibile di modernizzazione della nostra società a vantaggio dell’intera collettività: l’occasione per meglio riallineare le risorse disponibili ai bisogni sociali da soddisfare. Solo così le approvazioni del Bilancio dello Stato, negli anni a venire, potranno essere meno accidentate. 

(da isril.it

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