di Paolo Pagliaro
Sostituire i vertici della pubblica amministrazione – nel mondo anglosassosne spoil system – è una facoltà che la legge riconosce a ogni nuovo governo, ma non è ovviamente un obbligo. Se un dirigente è capace gli può capitare di essere confermato anche quando cambiano le maggioranze politiche. Nell’alta dirigenza dello Stato è accaduto più di una volta. E per fortuna, perché spesso la continuità gestionale assicura quell’efficienza messa rischio da ministri che all’estro politico non sempre affiancano adeguate competenze amministrative. Un caso di rinuncia reiterata allo spoil system,, uno dei tanti, è quello che ha riguardato Domenico Arcùri, che ha trascorso 15 anni alla guida di Invitalia, dove venne nominato da Romano Prodi e poi confermato da Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Giuseppe Conte. Quando, sei mesi fa, fu rimosso da Draghi, Arcuri dovette peraltro scrivere una lettera a Repubblica per fare il bilancio del proprio operato. visto che nessuno gli aveva chiesto di rendere conto delle cose fatte e anche di quelle eventualmente non fatte o fatte male. Peggio dello spoil system c’è infatti lo spoil system alla chetichella, che prevede avvicendamenti silenziosi, senza spiegazioni e senza accountability, cioè senza assunzione di responsabilità da parte di tutti, i rimossi e i subentranti.
E’ dunque un piccolo evento quello in programma martedi 10 gennaio, quando Giovanni Legnini – a cui il nuovo governo ha tolto l’incarico di commissario straordinario per la ricostruzione post terremoto nel centro Italia – presenterà pubblicamente il suo rapporto di fine mandato. Legnini dirà cosa ha fatto in questi anni e la notizia è che ad ascoltarlo, in prima fila, ci sarà il suo successore Guido Castelli. Sarà dunque un passaggio di consegne trasparente, un passo avanti nella storia dello spoil system all’italiana.