di Paolo Pagliaro
Da trent’anni c’è una corsa affannosa a far quadrare i conti del sistema previdenziale. Nel 2021 - ultimo anno di cui si possiedono i dati - l’Inps ha incassato contributi per 208 miliardi e ha pagato pensioni per 238. Lo sbilancio è dunque di 30 miliardi a cui si aggiungono i 40 di spesa assistenziale, anch’essa coperta dalla fiscalità generale, cioè dai cittadini che pagano le tasse.
Con diverse riforme – in particolare quelle volute da Prodi, Amato, Dini, Maroni, Monti, Fornero – si è cercato di contenere la spesa, in prospettiva insostenbile viste anche le dinamiche demografiche e lo si è fatto spostando in avanti l’età pensionabile e adeguandola alle aspettative di vita. Altri hanno però remato in direzione opposta, con trovate come quota 100.
Il bilancio di ciò che si è speso e le previsioni su ciò che dovremo per forza tagliare, in assenza di una robusta ripresa economica, si trovano nel Bilancio del sistema previdenziale italiano, prezioso rapporto curato dal centro studi Itnerari Previdenziali e coordinato dal professor Alberto Brambilla. Nelle 230 pagine presentate questa mattina al governo e al parlamento ci sono molte cose che sul sistema previdenziale non sappiamo e altre che preferiremmo non sapere, come ad esempio il fatto che in Italia ci sono 400 mila pensionati che sono tali da oltre 40 anni. Persone che hanno versato contributi per una ventina d’anni e che poi si sono affidate all’Inps potendo contare sulla grande quantità di “deroghe” concesse all’età legale di pensionamento. Dice il professor Brambilla che in Italia non c’è stato e non c’è un occhio di riguardo per i giovani con i cui contributi vengono pagate pensioni, anticipazioni e precoci vitalizi.
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