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Se ci fosse stato
l’Avvocato

Salvatore Tropea

Che cosa non avrebbe fatto o avrebbe fatto Gianni Agnelli nei vent’anni che sono passati dalla sua morte a oggi? E’ una domanda inusuale in una commemorazione ma è quella che viene naturale e che verosimilmente in molti si pongono a fronte dei cambiamenti subiti dall’impero Fiat negli ultimi due decenni. Premesso che avrebbe dato il suo assenso all’operazione Chrysler di Sergio Marchionne perché era lo sbarco in America da lui vagheggiato ma non in versione Ford, l’Avvocato avrebbe mostrato qualche perplessità sull’alleanza con i francesi di Psa con i quali pure ha flirtato ma con risultati parziali. Ciò vuol dire che non avrebbe accettato che il quartier generale della Fiat lasciasse la città dove essa è nata. “Non riesco a immaginare una Torino senza Fiat e una Fiat lontana da Torino” diceva.

E probabilmente avrebbe avuto da dire sul trasferimento della sede legale ad Amsterdam e di quella fiscale a Londra, anche uomini come Gian Luigi Gabetti e Franzo Grande Stevens avrebbero avuto qualche problema a trovare una delle consuete vie d’uscita all’italiana sotto la regia di Enrico Cuccia. Consapevole degli effetti della globalizzazione avrebbe favorito lo sviluppo della produzione Fiat fuori dall’Italia ma forse avrebbe fatto in modo di rallentare lo smantellamento del cuore storico della Fiat, ovvero la Mirafiori. Sapeva certamente che la “balena produttiva” era invecchiata ma aveva con essa un rapporto che andava oltre quello azienda-padrone, qualcosa che rimandava alla storia della famiglia. E lui a queste cose ci teneva e non ne faceva mistero, anzi spesso le esibiva come un tratto distintivo del suo modo di vedere e gestire il gruppo. Non a caso la numerosa famiglia faceva capo a lui come al patriarca al quale affidare le decisioni riguardanti la Fiat e in qualche caso anche altro. E nel prendere queste decisioni lui aveva sempre come punto di riferimento Torino. Soprattutto in tarda età quando tutto sembrava andare nella direzione di una parcellizzazione del gruppo e quindi delle sue sedi.
Per la politica aveva avuto attenzione, interesse, curiosità, comunque non al punto di accettare di diventare un protagonista. E sì che di proposte ne aveva avute, ma lui non era andato mai oltre una simpatia per il Pri di Ugo La Malfa. Esponente di primo piano di quel sistema di potere combattuto dai “nuovi barbari”, uomo del Secolo Breve, avrebbe avuto difficoltà a considerare più che una stravaganza l’uno vale uno, nonché l’improvvisazione e l’incompetenza. Né avrebbe avuto la benchè minima simpatia per le destre nella forma leghista e in quelle che si sarebbero imposte in Italia e in altri paesi europei, per una ragione culturale e di apertura verso i paesi democratici.
Avrebbe detestato il provincialismo delle barricate anti Tav e le posizioni No Vax di cui avrebbe condannato la violenza e soprattutto l’avversione alla scienza. E sicuramente non avrebbe avuto alcuna perplessità nello stare dalla parte dell’Occidente considerando poco più che bizzarrie gli argomenti del chiacchiericcio a favore di Putin. Con ciò prendendo posizione anche nei riguardi di una cultura che non era nè era mai stata la sua.
L’Avvocato aveva un grande amore coltivato sin da bambino quando il padre Edoardo aveva fatto arrivare alla Juventus l’argentino Raimundo (Mumo) Orsi, primo straniero in una squadra italiana. La Juventus era un'altra di quelle cose che lo legavano a Torino e alla famiglia. Come l’amico Henry Kissinger amava il bel calcio e avrebbe gioito dei successi bianconeri degli ultimi vent’anni. Ma non si va lontano dal vero se si afferma -anche senza poterlo dimostrare in concreto- che non avrebbe permesso gli incidenti che, negli ultimi vent’anni, hanno steso una macchia sul nome della squadra. Difficile dire che cosa avrebbe fatto ma sicuramente avrebbe inventato qualcosa per mettere la sua Juventus al riparo dal sospetto e dallo sberleffo.

(© 9Colonne - citare la fonte)