di Paolo Pagliaro
Il 24 febbraio sarà trascorso un anno dall’invasione russa dell’Ucraina e tutto lascia pensare che la guerra, con il suo carico di lutti e sofferenze, sia ancora lontana dal concludersi.
E’ però tempo di un primo bilancio sull’efficacia delle misure che l’occidente ha adottato contro il paese aggressore, e in particolare sull’embargo e le sanzioni che avrebbero dovuto colpire l’economia russa. E qui i dati raccontano una verità scomoda. Nell’anno dell’invasione le entrate russe dalle vendite di indrocarburi, dunque petrolio gas e carbone, sono infatti quasi triplicate, passando da 90 a 260 milioni di euro al giorno. E questo nonostante la progressiva riduzione dei volumi esportati verso l’Europa.
Il 2022 è stato un anno record per il traffico delle merci movimentato dai porti russi. E’ stato superato il picco storico di 840 milioni di tonnellate che era stato stabilito nel 2019, prima della pandemia. La tenuta del commercio via mare poggia sull'esportazione di materie prime e prodotti energetici. Dai porti russi del Mar nero, del Baltico, del Pacifico, del bacino Artico o del Caspio sono partiti verso il resto del mondo non solo idrocarburi, ma anche milioni di tonnellate di cereali, fertilizzanti, metalli ferrosi, semilavorati. E il resto del mondo – se si escludono Europa e Nord America - non sembra affatto ostile al Cremlino. Sostiene l’Ispi che per Putin la festa sta per finire perché le importazioni asiatiche non potranno più compemsare le perdite causate alla Russia dall’embargo europeo. Ma in questi mesi sono state troppe le previsioni smentite dai fatti