Appetito, languorino, fame sono termini che rimandano con ogni evidenza alla stessa necessità biologica ma non sono la stessa cosa. Un conto è mangiare per alimentarsi con sobrietà, misura, gusto, un altro è ingozzarsi con voracità attenti a non farsi sfuggire neppure una briciola. Ecco. La corsa all’accaparramento dei posti di potere, sottopotere o comunque di comando a vario titolo, colloca il governo di destra-centro nella seconda categoria, quella di chi è determinato a rifarsi di un digiuno che poi non è stato un digiuno a meno che non si dia superficialmente per scontato che, berlusconiani, leghisti e anche i “fratellini d’Italia” siano stati tenuti sempre lontani dalle “poltrone”. Il che sarebbe piuttosto difficile per chiunque da dimostrare.
Ma ora stiamo assistendo a un vero e proprio affondo. Da quando si è insidiato, il governo di Giorgia Meloni si è distinto per la rapidità e la protervia con la quale è andato scientificamente alla ricerca di posti per placare appunto la fame di una maggioranza che su questo argomento ha le idee chiare, come del resto ha dimostrato sin dal suo nascere con le presidenze della Camera e del Senato.
Le competenze, della cui carenza soffre notoriamente il governo Meloni, non sono mai state un problema anche se questo vuol dire andare incontro a incidenti di percorso di non poco conto. L’obiettivo è accaparrarsi tutto ciò che si può, andando alla caccia di presidenze, vicepresidenze, consiglieri e affini. Ultimo ma solo in ordine di tempo il Salone del libro di Torino dove lo scrittore Paolo Giordano si è chiamato fuori dalla corsa per la direzione a causa delle ingerenze del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Per intenderci e secondo quanto confermato dal coordinatore del Comitato direttivo del salone, c’è stata “una garbata richiesta del ministro della Cultura di poter condividere, nel rinnovando comitato editoriale, oggi composto da 19 membri, tre nominativi di espressione del ministero”. La reazione di Paolo Giordano è stata immediata col rifiuto di accettare “nomi imposti, di destra, da me non scelti”, una presa di posizione che è stata sufficiente a rimandare in alto mare ogni decisione sulla guida della kermesse torinese.
Il ripetersi dell’assalto alla diligenza degno del film western Cimarron non è certo una novità. Sotto forma di spoils system o di ricambio col metodo Cencelli in mano, talvolta come occupazione pura e semplice, la corsa alla conquista delle poltrone fa parte della storia politica italiana della prima e della seconda Repubblica. Non c’è da stupirsi, è una pratica nella quale si sono esercitati tutti i partiti di destra e di sinistra seppure con differente grado di voracità. Ciò che distingue il governo in carica da quelli che l’hanno preceduto negli anni è la meticolosità nell’andare a occupare tutto quanto si può occupare, trasformando quella che in passato era spesso una spartizione del potere in una sorta di asso pigliatutto. Altro che appetito o languorino.