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direttore Paolo Pagliaro

Una notizia
che non lo era

Una notizia <br> che non lo era

di Paolo Pagliaro

Sarà il nuovo clima politico, sarà l’allentamento dei freni inibitori sociali, sarà l’ignoranza della legge, sarà per la cattiva stampa di cui gode la cultura dei diritti, sta di fatto che da giorni i media – salvo lodevoli eccezioni– hanno trasformato in clamorosa notizia di cronaca un drammatico fatto privato, come la decisione di due donne di non riconoscere all’anagrafe i bambini da loro messi al mondo.
E’ da molti anni che alle donne in Italia è riconosciuta questa facoltà. Si chiama parto in anonimato, fu introdotto nel 1997 partendo dal presupposto che non tutte riescono ad accogliere la loro maternità, per una serie di motivazioni che occorre ascoltare, comprendere, riconoscere e rispettare.
A chi partorisce con questa modalità in ospedale o a chi – utilizzando la cosiddetta culla per la vita - affida a un ospedale il bambino nato altrove, la legge garantisce l’assoluta riservatezza. Che è una garanzia anche per il bambino, affidato alle cure della comuntà che lo ha accolto e poi della famiglia che lo adotterà. Dare la caccia alla madre del piccolo Enea, o a quella dell’altra bimba, industriarsi a disegnarne l’identikit, invitarle a dichiararsi significa violare la legge. E per chi milita nel fronte anti-abortista significa anche tradire la promessa che il parto in anonimato sarebbe stato un’alternativa vitale all’interruzione volontaria della gravidanza.
L’attenzione morbosa sollevata attorno a queste vicende è infine una sconfitta anche per il giornalismo, che sarebbe incaricato di selezionare fatti che meritano di diventare notizie.

(© 9Colonne - citare la fonte)