di Paolo Pagliaro
Le Regioni si occupano soprattutto di gestire la sanità e quando rivendicano l’ autonomia differenziata - come è tornato a fare oggi il loro portavoce ministro Calderoli - è bene sapere che essa già esiste. In alcune città per una mammografia ci vogliono 10 giorni , in altre occorrono 5 mesi. Per una visita specialistica fisiatrica con priorità urgente ci vogliono 72 ore oppure 60 giorni, dipende da dove si è nati. Senza codice di priorità, si può aspettare anche un anno per una visita endocrinologica e 300 giorni per una cardiologica. Le 15 mila denunce raccolte nel 2022 dal Tribunale del Malato di Cittadinanzattiva sono la testimonianza di un declino della sanità pubblica che pare irreversibile, e di cui sono le Regioni a dover rendere conto. Negli ultimi anni hanno chiuso i battenti 61 dipartimenti di emergenza, 103 pronto soccorso e 10 pronto soccorso pediatrici, sono diminuite le ambulanze - cinquecento in meno - e le unità mobili di rianimazione.
iAnche dopo la fine del covid sono milioni gli italiani che rinunciano a farsi visitare e a curarsi, scoraggiati dalle lunghe liste d’attesa. Per ridurle il ministro Speranza ottenne due anni fa che si stanziassero 500 milioni di euro. Dovevano servire per pagare gli straordinari, assumere personale e tempo determinato, reclutare gli specializzandi, tenere aperti gli ambulatori anche il sabato e la domenica.
Che uso hanno fatto le Regioni di questi fondi non è dato sapere. Si sa solo che il Molise ha utilizzato meno del 2% di quanto aveva a disposizione, e male hanno fatto anche Sardegna, Sicilia, Calabria e Alto Adige, che non sono riuscite a utilizzare neppure il 30% del denaro ricevuto.