di Paolo Pagliaro
Il laboratorio del futuro è l’Africa, per le ragioni ben spiegate dai demografi, che in quel continente si attendono cinque miliardi di abitanti entro la fine del secolo. Il laboratorio del futuro è anche il titolo della Biennale Architettura che si apre sabato 20 e che affrontando i temi della decolonizzazione e della decarbonizzazione accenderà riflettori sull’Africa e sulla sua diaspora.
L’ambizione è di proporre a Venezia un nuovo tassello della storia dell’architettura, mettendo in discussione quel pensiero unico che ha ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e persino concettuale.
Fino al 26 novembre tra i Giardini, l’Arsenale e il centro storico si potranno visitare i padiglioni di 63 nazioni, con alcuni debutti come il Niger e Panama. Metà degli architetti invitati a contribuire alla mostra principale è di origine africana. Il Leone d’Oro alla carriera verrà assegnato domani a Demas Nwoko, 88 anni, artista e designer nigeriano. Un protagonista della rinascita postcoloniale del suo paese.
“L’equilibrio si sposta. Le strutture si sfaldano. Il centro non regge più”, ha detto la curatrice della Biennale, Lesley Lokko, architetto scozzese e cittadina del Ghana. Lokko oggi avrebbe voluto accanto a sé il fotografo e altri due giovani collaboratori ghanesi che nei mesi scorsi hanno lavorato con lei alla realizzazione della Biennale. Ma non c’erano perché l’ambasciata italiana ha negato il visto.
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