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direttore Paolo Pagliaro

Cosa non dimentichiamo
di Henry Kissinger

di Paolo Pagliaro

Sabato Henry Kissinger ha compiuto 100 anni, mentre ne sono passati solo 35 dall’assassinio di Aldo Moro. I due nomi sono in vario modo collegati, anche se nei festeggiamenti di questi giorni per il vegliardo ex segretario di Stato americano quasi nessuno si è ricordato dello statista italiano assassinato dalle Brigate Rosse, alle quali peraltro era stato lasciato in pasto.
Ha scritto Matteo Renzi che in un mondo di grigi burocrati Kissinger è il Machiavelli di cui avremmo bisogno. Altri hanno dipinto il festeggiato come un gigante delle relazioni internazionali, un maestro di pragmatismo e di diplomazia, un politico coraggioso e anticonvenzionale. Giudizi più meditati sono apparsi con molta parsimonia. L’Atlante Treccani ha ricordato che Kissinger teorizzò guerre nucleari limitate, sostenne il fallimentare intervento in Vietnam, contribuendo a prolungarlo ben oltre il dovuto, ispirò il colpo di Stato in Cile che costò la vita al presidente eletto Salvador Allende, osteggiò la Ostpolitik di Willy Brandt, caldeggiò l’intervento in Iraq.
Ma c’è un altro episodio nella vita pubblica di Kissinger che almeno in Italia meritava di essere ricordato, ed è il suo incontro con Aldo Moro, a Washington il 25 settembre 1974. L’allora ministro degli Esteri italiano stava lavorando all’ingresso nella maggioranza di governo del partito comunista di Enrico Berlinguer. Dopo un breve colloquio, il segretario di stato congedò Moro con un invito raggelante: “O lei smette di fare queste cose o la pagherà cara, molto cara”. La profezia poi si avverò, ma a Kissinger né la magistratura né il Parlamento italiani hanno mai potuto fare una domanda.

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