di Paolo Pagliaro
Tra le spese che gli ammalati di tumore devono sostenere di tasca propria, al primo posto ci sono gli esami diagnostici. Si fanno privatamente perché i tempi d’attesa negli ospedali e negli ambulatori pubblici sono incompatibili con l’esigenza di terapie tempestive. Secondo l’indagine promossa dalla Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia alla fine la spesa media che ogni paziente deve affrontare - tra analisi, farmaci e viaggi - è di 1.850 euro l’anno. Per molti italiani non è un problema, ma lo è per altrettanti loro concittadini che in molti casi rinunciano a curarsi.
Oggi Eurispes ed Enpam - l’ente di previdenza dei medici - hanno presentato un dossier sullo stato di salute del sistema sanitario dopo il triennio della pandemia, e le notizie non sono buone. Scende al 6% del Pil l’investimento in sanità pubblica, contro il 9,9 della Germania, il 9,4 della Francia, il 9,3 della Svezia. Ciò significa che l’investimento nei paesi con cui normalmente ci confrontiamo è superiore di un terzo al nostro. Per curarsi, un milione e mezzo di italiani deve recarsi fuori regione, dove la sanità funziona come in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna. Ma anche lì molti reparti ospedalieri sono destinati a restare sguarniti perché la classe medica italiana è la più anziana d’Europa. I medici sotto i 35 anni sono l’8.8%, contro il 30% in Gran Bretagna, Olanda e Irlanda, o il 20 in Germania e Spagna. Quando i medici di famiglia vanno in pensione, nessuno si presenta per sostituirli, 3 milioni di italiani sono rimasti senza medico di base. Enpam sta lavorando a un progetto per consentire ai medici di aggregarsi in studi più strutturati, organizzati e allestiti con attrezzature avanzate per sfruttare soluzioni di telemedicina. Ma la verità è che la sanità pubblica si trova in piena emergenza.