di Paolo Pagliaro
A Dacia Maraini che le chiedeva se, quand’era partigiana, avesse mai sparato contro un nemico, la pacifista Lidia Menapace sorrideva e rispondeva che quando un nemico attenta alla tua dignità, alla tua libertà e alla tua terra, hai il diritto e il dovere di difenderti, e se l’altro usa le armi, dovrai pure tu usarle, a meno di non offrirti come corpo sacrificale al più prepotente e al più violento. Questo era lo spirito con cui Lidia aveva partecipato alla Resistenza, e che si ritrova oggi nelle 500 pagine che raccolgono i suoi scritti, riordinati da Carlo Bertorelle e Mariapia Bìgaran nel volume “Un pensiero in movimento” pubblicato da Alpha & Beta. Menapace, scomparsa nel 2020, è stata lettrice all'Università cattolica, dopo il Sessantotto ha abbracciato la "scelta marxista", è stata tra i fondatori del "Manifesto" e in Alto Adige con Alexander Langer protagonista del movimento ecologista. Anche nell’aula del Senato ha accompagnato i cambiamenti dell’Italia a cavallo trai due scoli con una militanza mai dogmatica. Quasi sempre dalla parte dei perdenti, ma sempre coraggiosa, ironica e anticonformista.
Fu uno spirito libero anche Margherita Sarfatti, donna a cui oggi restituisce un po’ del maltolto la biografia scritta dalla pronipote Micol per Giulio Perrone Editore. Vivesse oggi, Margherita farebbe furore sui social. Agli inizi del secolo scorso lei – scrittrice e fondatrice del gruppo artistico Novecento - è la prima donna a firmare una rubrica di critica d’arte. Nel 1913 è a Londra per sostenere la causa delle suffragette e l’anno dopo si batte per l’introduzione del divorzio in Italia. Collabora con Prezzolini e Papini, scrive sulla rivista diretta da Anna Kuliscioff. Ma poi si innamora e diventa l’amante del giovane direttore socialista dell’Avanti, un tale Benito Mussolini. Firma così – lei ebrea e per questo poi condannata all’esilio - la propria condanna all’oblio.