di Paolo Pagliaro
Le riviste scientifiche si occupano da 15 anni della carne coltivata, nota anche come carne colturale, carne sintetica, carne artificiale o carne in provetta. E’ composta da cellule animali fatte moltiplicare in appositi contenitori (bioreattori) e quindi raccolte e consumate sotto forma di hamburger o altri prodotti simili. Chi è contrario a questa innovazione sostiene che la nascita e lo sviluppo della carne artificiale nascono dalla mercificazione della ingegneria genetica, dal denaro dei milionari della Silicon Valley, dai millennial che cercano nella tecnologia la salvezza poiché non hanno la capacità di risalire alle vere cause del riscaldamento climatico e della crisi della biodiversità. Nel suo libro inchiesta “Carne artificiale? No, grazie!” Gilles Luneau riassume bene questa tesi. Chi voglia conoscere l’opinione opposta può invece sfogliare le pagine messe a disposizione sul suo sito da Bruno Cell, la startup trentina che “coltiva” la carne perché ritiene che così si possa abbattere l’emissione di gas serra, evitare il consumo di suolo e la deforestazione, impattare meno su acqua e altre risorse alimentari, liberare gli animali da trattamenti crudeli, garantire un alimento privo di patogeni pericolosi per l’uomo, non usare antibiotici. Della questione si discute in tutto il mondo e non sarà un voto del Parlamento italiano a decidere chi ha ragione. Sarebbe invece utile che in attesa dei responsi della scienza (e dell’etica) deputati e senatori si occupassero dei disastri causati dal marketing alimentare e in particolare degli spot di cibo spazzatura rivolti ai bambini. Ne parla oggi “Il Fatto Alimentare”. L’ Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l’allarme, la Società italiana di pediatria lo ha condiviso e rilanciato, chiedendo di arginare i messaggi promozionali di cibo e bevande ad alto contenuto di grassi saturi, zuccheri liberi e sale. Gli appelli rivolti alle aziende sono caduti nel vuoto, la richiesta è che se ne occupi il Ministero della Salute.
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