di Paolo Pagliaro
Un Paese che trova normali e persino apprezzabili le esternazioni di un generale dell’Esercito contro i suoi concittadini omosessuali, potrebbe mostrarsi comprensivo anche nei confronti di una magistrata che cinque anni fa osò scendere in piazza, assieme a centinaia di persone, per chiedere che a 190 naufraghi da giorni trattenuti a bordo di una nave militare fosse consentito di sbarcare. Si protestava contro un reato e infatti per quel sequestro di persona il Tribunale di Catania avrebbe voluto processare il ministro Salvini. Ma il Senato non concesse l’autorizzazione. Oggi alla magistrata Iolanda Apostolico viene contestato di aver rimesso in libertà tre immigrati trattenuti in un centro di detenzione. E di averlo fatto mossa dallo stesso pregiudizio politico che cinque anni fa l’aveva spinta a manifestare in piazza.
La tesi del pregiudizio è suggestiva (ci sono anche le foto!) ma non regge, a meno che non la si voglia applicare a tutte le sentenze che in Italia e in Europa sconfessano le politiche migratorie che ignorano i diritti dell’uomo.
Negli ultimi sei mesi la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato due volte l’Italia. La prima per aver violato il divieto di trattamenti inumani o degradanti e quello di espulsione collettiva degli stranieri, senza valutare i singoli casi. La seconda per non aver garantito accoglienza e tutela ad una minorenne originaria del Ghana, vittima di precedenti violenze in Libia.
Un mese fa la Corte di Cassazione ha giudicato “disumana e degradante” la condizione dei detenuti nel Cie di Bari e ha condannato Viminale e Presidenza del Consiglio a un risarcimento. Altre sentenze della Suprema Corte e dei tribunali di Firenze, Bologna e Roma vanno nella stessa direzione. La presidente del Consiglio avrebbe avuto molte occasioni per dirsi basita, e se Salvini continuerà a dettare la linea, molte altre ne avrà in futuro.