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Impatriati: nuovi requisiti per il regime fiscale agevolato, scattano le proteste

Impatriati: nuovi requisiti per il regime fiscale agevolato, scattano le proteste

“Basta fuga dei cervelli: vogliamo rientrare e rimanere in Italia”: con una petizione su Change.org il gruppo Rientro Italia dice “No a riforme dannose e frettolose” scagliandosi contro la proposta di modifica del cosiddetto “regime degli impatriati”, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 16 ottobre, ossia quel regime fiscale che incentiva i “cervelli in fuga” a rientrare in Italia. Secondo la proposta di modifica, i lavoratori dipendenti o autonomi che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia sarà riconosciuto, dal 2024, un nuovo regime agevolato per un massimo di 5 anni. Potranno beneficiare di una riduzione della tassazione del 50 per cento (era il 70% fino a oggi), entro un limite di reddito agevolabile pari a 600.000 euro, i lavoratori in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione che non risultano essere già stati residenti nel nostro Paese nei tre periodi d’imposta precedenti al conseguimento della residenza. I lavoratori impatriati dovranno restituire le agevolazioni, pagando gli interessi, se non mantengono la residenza fiscale nei cinque anni successivi. Insorge la comunità degli expat: per il gruppo che ha lanciato la petizione (oltre 5.500 firme a oggi), la modifica, che quindi riduce lo sconto fiscale dal 70 al 50% sull’imponibile, “cambia i requisiti di accesso per i prossimi anni in modo molto restrittivo e addirittura toglie del tutto gli incentivi ai lavoratori che si sono trasferiti in Italia a partire da luglio 2023. Crea di fatto una nuova categoria di ‘esodati’: chi si è stabilito in Italia, dando dimissioni e accendendo mutui, o sta per farlo, rimarrebbe senza diritto agli incentivi, con un effetto retroattivo in violazione di elementari principi di certezza del diritto e ragionevolezza. Ci sono molti altri punti critici: l’assenza di un regime transitorio, la rimozione degli incentivi legati alla natalità e al trasferimento al Sud, l’obbligo di cambiare datore di lavoro, una riduzione dell’importo dei benefici”.
Interviene anche il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, che “esprime forte preoccupazione” e chiede al governo di “ritirare questa misura – spiega il segretario generale del Cgie Michele Schiavone – o in alternativa di procrastinarne l’entrata in vigore per non vanificare dall’oggi al domani il progetto di vita di coloro che avevano programmato di tornare in Italia e non creare difficoltà a quanti sono già rientrati proprio in virtù delle agevolazioni introdotte in passato”. Schiavone ricorda che “hanno già chiesto al Governo di ripensare la proposta anche i Parlamentari del Pd eletti nella Circoscrizione Estero: i senatori Andrea Crisanti e Francesco Giacobbe e l’onorevole Toni Ricciardi. La questione è stata inoltre oggetto di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti da parte del deputato della Lega eletto all’estero Simone Billi. Il CGIE sollecita tutti i 12 parlamentari eletti nella circoscrizione estero a promuovere un’iniziativa trasversale comune, coinvolgendo i propri gruppi parlamentari di riferimento, finalizzata al mantenimento dello status quo legislativo fiscale sia per i ricercatori e gli accademici, sia per i connazionali che decidono di rientrare in Italia per contribuire al progresso e alla crescita economica del nostro Paese”. È proprio il mondo dei ricercatori italiani all’estero che si sta mobilitando: le modifiche proposte, afferma il gruppo di italiani appartenenti a svariate professioni che sono rientrati in Italia dopo aver risieduto all’estero, “costringeranno molti a emigrare nuovamente o a non rientrare mai in Italia, perdendo così la possibilità di veder tornare un'ingente quantità di capitale umano su cui il Paese ha investito anni di formazione. Chiediamo che Governo e il Parlamento provvedano a correggere questa grave proposta di riforma che danneggia il Paese e ne mina la credibilità: chi si fida delle norme e delle Istituzioni viene puntualmente tradito”. (sip – 23 ott)

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