Un “accordo storico e innovativo”, così ha definito il premier albanese Edi Rama il recentissimo patto firmato a Roma con la nostra Presidente del Consiglio, per realizzare in Albania (Paese extra UE, membro della Nato) due centri per la gestione dei migranti soccorsi in mare dalle navi italiane che, di per sé, rappresentano il primo approdo sul suolo italiano. I lavori inizierebbero a breve (ma non sono poche le perplessità, subito espresse da più parti sul piano politico, giuridico e amministrativo) e dovrebbero concludersi entro la primavera dell’anno prossimo, con la costruzione di una sorta di hot spot nel porto di Shengiing, per le necessarie attività di identificazione e di screening dei migranti e un vero e proprio centro di trattenimento, sul modello dei Cpr italiani (centri di permanenza per i rimpatri), nella vicina località di Giader.
Così dopo i ripetuti falliti tentativi di costruire i Cpr - come era nelle intenzioni del Governo attuale, ma anche di quelli di anni fa - in alcune regioni italiane per le forti opposizioni di politici, amministratori locali e cittadini, è venuta la “genialata” della Meloni (abbandonata la strampalata idea del “blocco navale” per impedire le partenze dei barconi dalle coste libiche e tunisine) di fare qualcosa in terra straniera, un po’ come aveva pensato il premier inglese Sunak che, mesi fa, aveva cercato di far passare una legge, poi bloccata dai giudici, per trasferire in Ruanda i migranti irregolari giunti sul suolo patrio.
Così, mentre la Commissione UE, che pure sarebbe stata a conoscenza dell’accordo italo-albanese, attende di ricevere “informazioni dettagliate”, qualcuno parla di “successo storico”, di “modello che intendiamo replicare con qualunque paese terzo che dia le garanzia necessarie” per “smontare il business degli scafisti che non potranno più garantire lo sbarco in Italia” (Fazzolari, sottosegretario con delega all’attuazione del programma di governo, il 7 novembre sul Corriere della Sera). Ora qualcuno dovrebbe ricordare al Sottosegretario che molti sbarchi sulle nostra coste avvengono anche autonomamente, mentre il business cui fa riferimento riguarda molti dei politici locali e capi tribù (alcuni furono persino avvicinati anni fa dal Ministro dell’Interno italiano, con la promessa di “attenzioni”, per arginare i flussi migratori in transito nei loro territori) che in vari Stati africani ne traggono consistenti profitti agevolando il transito confinario ( dove pure ci sono conniventi funzionari locali) dei migranti in fuga da guerre, persecuzioni e miseria.
Insomma, il grosso degli affari non lo fanno certo gli scafisti che in molti casi sono gli stessi migranti resisi disponibili a pilotare vecchie imbarcazioni per pagarsi la traversata in mare. Sarebbe stato bello, invece, annotare una iniziativa forte del nostro governo per implementare la già esistente collaborazione tra i due Paesi nel contrasto alle organizzazioni criminali albanesi che “..sono quelle che, più di altre, hanno saputo radicarsi nel territorio, ramificarsi in diverse Regioni e interagire con quelle autoctone..” (relazione DIA, settembre 2023) non solo nel traffico di stupefacenti ma anche nella tratta di esseri umani e nel traffico di migranti, due fenomeni criminali che si vorrebbero combattere. Su approcci più “creativi” sulla immigrazione si sta pensando qualcosa persino in Germania, sino ad oggi sempre custode dell’ortodossia conservativa sul fenomeno.