di Paolo Pagliaro
Le guerre in Ucraina e Israele sono una manna per le imprese che producono armi. In due anni è aumentata del 325 % la capitalizzazione di Aselsan, gigante dell’industria bellica turca e grande fornitore degli eserciti di mezzo mondo. E’ aumentato del 188% il valore in Borsa della redesca Rheinmetall e del 169% quello della svedese Saab, In cima alla classifica, al quarto posto, c’è anche l’italiana Leonardo, che è cresciuta del 133%. Hanno visto raddoppiare il loro valore altri marchi legati alla Difesa come la tedesca Hensoldt, l’inglese Rolls Royce, la statunitense Parsons.
Milano Finanza fa il suo mestiere e, riportando questi dati, si chiede se - con la guerra in Ucraina in fase di stanchezza e un tentativo in corso di tregua a Gaza – i titoli dell’industria bellica hanno ancora fiato per correre. Uno degli analisti interpellati risoonde che sì, per quanto tristemente funestato da conflitti, il settore della Difesa si sta ancora giovando del nuovo corso geopolitico. La pressione sugli Stati europei ad alzare la spesa militare “sta dando riscontri” e altri verosimiomente ne darà. .
Il valore dei titoli è cosa diversa dal giro d’affari, ma nel caso dell’industria bellica lo rispecchia. L’ultimo dossier di Mediobanca fa sapere che è stato superato di slancio il tetto dei 2mila miliardi dollari l’anno. I cittadini che spendono di più per la difesa sono quelli di Qatar, Israele, Stati Uniti e Kuwait con più di 2mila dollari a testa. In Italia ci fermiamo a 530 dollari a persona che sono comunque il doppio della media mondiale e il 17% in più della spesa pro-capite in Russia.
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