di Paolo Pagliaro
Mentre si discute di una futura elezione diretta del premier e di altre possibili riforme costituzionali, ce n’è una già in atto di cui poco si parla. È il progressivo disarmo del Parlamento, con lo spostamento della funzione legislativa dalle Camere al governo; e con la contestuale drastica riduzione del dibattito pubblico nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.
Le statistiche aggiornate a metà novembre dicono che delle 70 leggi approvate dall’inizio della legislatura solo 19 sono di iniziativa parlamentare. Le altre sono tutte di matrice governativa, in genere sotto forma di decreto-legge.
Sono eloquenti anche i dati diffusi oggi da Openpolis sul sempre più frequente ricorso ai voti di fiducia. Solo a novembre ce ne sono stati ben 8, per un totale di 39 in tredici mesi. Tra tutti i governi delle ultime quattro legislature, quello Meloni è primo per numero medio di questioni di fiducia mensili. La frequenza dei voti di fiducia nasce dall’uso e dall’abuso dei decreti, che devono essere convertiti in legge entro 60 giorni, Poiché il Parlamento è chiamato ad affrontarne molti contemporaneamente, non c’è tempo per discuterli e tanto meno per modificarli o migliorarli. Si approvano dunque a scatola chiusa, senza fare troppe domande.
L’uso combinato di decreti legge e questioni di fiducia è una pratica che stravolge il normale iter costituzionale. Se il premierato dovrà servire a rafforzare il potere del governo e del suo capo, ai danni del parlamento, la notizia è che ci siamo già molto vicini, senza bisogno di una grande riforma e di un referendum.