di Paolo Pagliaro
In alcune asl a parità di spesa si preferisce acquistare un macchinario, anche quando non ce n’è bisogno, piuttosto che assumere un infermiere. La ragione è evidente a chiunque conosca i rapporti sotterranei tra la sanità e la politica, con la politica regionale che non si è rivelata meno vorace di quella nazionale. L’ultimo episodio è dell’altro giorno, con la condanna a 7 anni e 4 mesi di un cosiddetto manager dell’azienda sanitaria di Palermo che aveva affidato appalti per 600 milioni in cambio di tangenti.
Tra qualche giorno compie 45 anni il servizio sanitario nazionale, una delle grandi conquiste della democrazia italiana. E si vorrebbe che ci fosse qualcosa da festeggiare. Con questo auspicio la Fondazione Gimbe, instancabile sentinella a difesa della sanità pubblica, riassume in un dossier i vari aspetti del declino: dagli interminabili tempi di attesa per una visita all’affollamento dei pronto soccorso, dall’aumento della spesa privata alla rinuncia alle cure di chi una spesa non può permettersela, dall’impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa alle inaccettabili diseguaglianze regionali e locali. I dati citati da Nino Cartabellotta, il medico animatore della Fondazione, non lasciano dubbi: il servizio sanitario nazionale è ampiamente sotto-finanziato, in termini di spesa pro-capite in Europa ormai siamo “primi tra i paesi poveri”. Senza un radicale cambio di rotta scivoleremo inesorabilmente da un Servizio Sanitario Nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 Sistemi Sanitari Regionali regolati dalle leggi del libero mercato.
Ha del miracoloso, in questo quadro, la fiducia degli italiani nei loro ospedali e nei loro medici di famiglia, che Demopolis registra da anni in crescita costante.