Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Il declino di Mirafiori
è una questione nazionale

Il declino di Mirafiori <br> è una questione nazionale

di Salvatore Tropea

Mentre la royal family di Torino è alle prese con problemi ereditari -cose che il più delle volte accadono ai ricchi- si apprende che lo stipendio annuo dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ammonta a circa 36 milioni incluso il bonus, una cifra che equivale al salario di un paio di migliaia dei suoi operai attualmente in forze nello stabilimento di Mirafiori per il futuro del quale i sindacati continuano a sollecitare un chiarimento. Potrebbe essere una vertenza come tante altre se non fosse che in gioco c’è il futuro di un settore, quello dell’auto, che è stato un tempo trainante e che ancora oggi occupa in Italia decine di migliaia di personei. Ora parecchi segnali fanno pensare che la Mirafiori, a lungo metafora inconfondibile del mondo industriale italiano, abbia da tempo esaurito questo ruolo avviandosi verso una fase di declino che rischia di diventare irreversibile.
Il numero attuale dei suoi addetti e quello delle auto che annualmente escono dalle sue catene di montaggio sono un segnale eloquente di questo declino. L’uno e l’altro corrispondono a un decimo rispetto ai ruggenti anni Settanta del secolo scorso. Un trend che appare inarrestabile e che, proprio per questo, dovrebbe collocare la questione Mirafiori al centro di una riflessione non solo sul suo destino ma su quello più generale del futuro di un settore industriale che è destinato a diventare marginale in assenza di interventi che lo mettano al passo con i suoi competitori. In questi termini il caso Mirafiori non è un problema riconducibile al tradizionale rapporto tra azienda e sindacati. Esso chiama in causa il ruolo del governo e non tanto per lo stanziamento di aiuti come è avvenuto in passato ma per una discussione sul rilancio dell’industria automobilistica che abbia come base di partenza il suo rinnovamento.
Questo cambio di marcia vuol dire ripensare uno sviluppo del settore che tenga conto della transizione verso la propulsione elettrica per la quale c’è già il termine temporale del 2035. Può sembrare questa una data ragionevole ma, almeno per quanto riguarda la situazione italiana, continuano a circolare dubbi e perplessità. Alcuni paesi, particolarmente attivi nel settore, si sono portati avanti su questa strada, creando un vuoto che potrebbe diventare incolmabile. Non c’è tempo da perdere se si vuole conservare un posto nella top ten dell’industria automobilistica europea. Ecco perché il destino della “balena operaia” torinese va visto e affrontato non come il problema specifico di un’azienda ma come un argomento riguardante il capitolo più generale dell’industria italiana.
 Gli 86 mila veicoli prodotti lo scorso anno nello stabilimento torinese (9 per cento in meno rispetto al 2022) non possono essere considerati un risultato che giustifichi la sua sopravvivenza. Bisogna partire da questa consapevolezza, tenendo ben presente che la sua fine sarebbe l’uscita dell’Italia da un settore importante con effetti facilmente immaginabili per l’economia del paese.

 

(© 9Colonne - citare la fonte)