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Campo largo sì
ma se comando io

Campo largo sì <br> ma se comando io

di Salvatore Tropea

Un collaudato navigatore della prima Repubblica, Clemente Mastella, qualche sera fa, ricordava come alcuni governi di centro sinistra fossero stati guidati da esponenti di partiti minoritari all’interno dell’alleanza, citando il caso di Spadolini e Craxi. Questo per sottolineare l’impossibilità del “campo largo” di aspirare a essere qualcosa di più di un’alleanza elettorale in presenza di aspettative di uno dei suoi partiti che, sebbene mai esplicitate apertamente, di fatto sottintendono il disegno di ritagliarsi un ruolo di guida. Che poi è l’obiettivo che persegue Giuseppe Conte per il quale un accordo strutturale con altre forze politiche e segnatamente col Pd è possibile solo a condizione che sia lui il conducator. Come dire che difficilmente Pd e 5S possono trovare ragioni di convivenza fuori da qualche limitata esperienza amministrativa. Senza contare che anche su questo versante, se si esclude il caso Sardegna, le diversità superano largamente le possibili convergenze.
Romano Prodi gliel’ha detto in modo inequivocabile: “Se volete vincere dovete mettervi d’accordo, se volete perdere continuate così”. Ma non sembra che il messaggio sia pervenuto. La verità è che questo tipo di accordo presuppone una precisa volontà dei contraenti che al momento è difficile indovinare sia sul versante pentastellato che su quello del Pd. Le alleanze sono operazioni che maturano attraverso un rapporto costruito nel tempo partendo dalla individuazione di una radice e un sentire comune possibilmente non finalizzati a un traguardo elettorale raggiunto il quale scatta il via libera, rompete le file e amici come prima.
Sono progetti complessi che rimandano alla natura stessa dei partiti interessati, alla loro storia, alla loro origine e per la cui soluzione oggi non si vedono le premesse. Ora è vero che un’alleanza per quanto strutturale è qualcosa di diverso e meno stringente di una fusione tra due forze politiche, ma è pur sempre una convivenza che, proprio perché persegue un traguardo condiviso, non può essere viziata da riserve, equivoci e fraintendimenti. In questa prospettiva il passato dell’avvocato del popolo non offre solide garanzie avendo egli guidato governi di coloritura di centrodestra più che di centrosinistra. E non è un caso che, quando gli si prospetta l’ipotesi di un’alleanza che non sia volatile e temporanea, egli preferisca parlare di collaborazione su alcuni punti programmatici. Lasciando chiaramente intendere che ogni traguardo che non contempli la nascita di una forza politica guidata da lui, è fuori discussione.
Se queste sono le premesse, le possibilità di creare un’alleanza capace di andare all’attacco del governo Meloni, sono piuttosto scarse per non dire nulle. Ma al momento non se ne vedono altre. Tanto per cominciare, il traguardo al quale puntano i pentastellati di Conte prevede l’erosione di consensi a sinistra essendo improbabile che possa fare altrettanto sul versante dominato non tanto da Salvini, in caduta libera per suo conto, quanto da Giorgia Meloni. Un percorso che allontana anziché avvicinare i due partiti. Altro che “campo largo”.

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