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Quando eravamo giornalisti
Secondo tempo: killer in the sun

Quando eravamo giornalisti <br> Secondo tempo: killer in the sun

di Franco Fregni

“Lying out there like a killer in the sun” canta Springsteen e quante volte mi sono sentito come un killer. “I had skin like leather and the diamond-hard look of a cobra”. 

Le mie parole e il mio sarcasmo hanno ferito e qualche volta ucciso. Non mi pento, anche se non mi piace la retorica di “Non, Je ne regrette rien” e My Way”. Di alcuni casi mi dispiace, di altri no. 

Ho iniziato a fare il chierico giornalista a 18 anni dal mio paese. A circa 25 anni ho avuto i primi incarichi di “responsabilità”, da sacerdote. A 30 anni ho iniziato a fare il “direttore responsabile”, vescovo, quasi pontefice, quando non sono mai stato “responsabile” di alcunché. Ho continuato a farlo per altri decenni. 

In realtà a quell’età ero abile a gestire turni, sapevo smazzare “timoni” e “menabò”, facevo correre la redazione e soprattutto riconoscevo un buon articolo e sapevo come presentarlo. Cioè ero un bravo tecnico. Avevo imparato da grandi maestri. Per governare una nave da guerra devi saper orientarti, conoscere il vento e le correnti, capire il carattere dell’equipaggio, comprendere quando andare allo scontro e quando abbozzare e soprattutto devi avere un po’ di fortuna.

Non avevo quasi più nessuna ideologia (che sono spesso errori di gioventù).

E così a trent’anni, siccome bravo “tecnico”, mi ritrovai in una grande città del Sud a fare il “direttore responsabile”.

L’editore era una simpatica canaglia dalla lacrima facile (riusciva a piangere con l’insopportabile “l’elefante e la farfalla” di Zarrillo) e faticava ad orientarsi tra i giudizi morali. 

Una mattina, di buon’ora l’editore si affacciò nel mio ufficio - il giornale era deserto, a quell’ora nelle città del Sud non lavorava nessuno - e dopo aver tergiversato per diversi minuti, finalmente mi disse: “C’è una famiglia che si sente perseguitata, è disposta a versare una bella cifra per una serie di articoli in sua difesa. Quei soldi garantirebbero l’esistenza del giornale. Io non dico niente. Li incontri e poi valuti Lei”.

Intuii che dietro poteva esserci una grande fregatura. Avevo bisogno del mio Virgilio e lo chiamai. Viveva altrove e quindi si doveva organizzare un viaggio, gli avevo detto che avevo un problema e che avevo bisogno del suo supporto. Virgilio, costretto per ruolo a percorrere gli inferi, naturalmente risposte di sì. 

Per precauzione convocai in anticipo due giornalisti - più “grandi” di me - nel mio ufficio spiegando che c’era l’opportunità di fare un’operazione border line che avrebbe garantito una certa solidità al giornale. Entrambi mi risposero in coro: “Non preoccuparti direttore, siamo specialisti in affari sporchi”.

Il giorno arrivò. Come novello Dante, con Virgilio al mio fianco, mi inoltrai nella bolgia che in realtà era un sontuoso palazzo nella principale arteria della città. Era prima di cena e l’invito della famiglia vessata era per un aperitivo. I maestosi portoni furono aperti da camerieri in livrea e fummo introdotti negli infiniti saloni (più è alta una stanza, più sono ricche le persone che vi vivono. I poveri vivono in stanze basse, i ricchi in stanze eteree).

Il discorso fatto dalla famiglia vessata fu semplice e diretto: dicono che siamo criminali, in realtà siamo persone oneste che vengono attaccate proprio perché produciamo e togliamo consenso alla malavita, che vuole impossessarsi dei nostri affari. Abbiamo bisogno di articoli a nostro favore per ribaltare questa impressione (adesso diremmo narrazione, ndr). Siamo disposti a pagare bene per questo servizio, che del resto è a favore di tutta la comunità.

Un momento di silenzio, poi il discorso proseguì: ci sono a disposizione un sacco di soldi (letteralmente), sono nella stanza di fianco, potete prenderli, altri ne arriveranno. 

Fine del discorso.

Virgilio, capendo l’imbarazzo di Dante, rispose: “Vi faremo sapere”.

I poeti uscirono dalla reggia e cominciarono a passeggiare per strada.

“Cazzo, non è una roba da poco, si pagherebbero i giornalisti per un sacco di tempo…”.

Virgilio rispose: “Il direttore sei tu, è una tua decisione. L’unica cosa che abbiamo in questa professione è la nostra firma Una volta che l’hai venduta, l’hai venduta per sempre”.

Quelle parole mi rimasero impresse “like the diamond-hard look of a cobra”.

Poi andammo a cena, ridendo e bevendo.

La mattina dopo andai al giornale, sempre di buon’ora, e all’editore dissi che la situazione mi sembrava “leggermente complicata" e che non me la sentivo di proseguire con quell’”affare”. Poche settimane dopo rassegnai le dimissioni e me ne andai dal giornale.

Ai due “fenomeni”, specialisti in “affari sporchi” e in seguito grandi firme, risposi che avevo capito male, che non c’era nessuna ‘bazza’ e che le persone che avevano offerto soldi si erano fatte da parte.

Di quello che sta succedendo in questi giorni so tutto ed è tutto già visto. Erano cose normali anche nei “vecchi giornali”, dove però si poteva scegliere. Potevi scegliere se vendere la firma e tenerla per te, se usare certi metodi o altri. Ho sempre schifato cose, anche banali, come le visure. Eravamo giornalisti, non poliziotti della morale di una parte. Adesso vorrebbero ridurci a parte della burocrazia che sostiene i Cesari che guidano Imperi di ogni genere. Sei con i “bianchi” o con i “neri”? È l’unica domanda che fanno. Per i vecchi cowboy non ci sono più campi aperti dove cavalcare e sparare nel sole.

Puoi aver lo sguardo come un cobra e essere come un killer in the sun, ma poi la realtà viene a bussare alla tua porta e quasi sempre si scopre che sei solo un assassino nell’ombra.

(2, fine)

 

(© 9Colonne - citare la fonte)