I candidati alle prese con problemi giudiziari, diretti o indiretti, fanno parte dello scenario preelettorale italiano. Le “vittime” di questi ordigni le chiamano bombe a orologeria con riferimento al fatto che esse molto spesso esplodono in vista degli appuntamenti con le urne Premesso che il fenomeno tende ad avere una frequenza tale da occupare diffusamente anche gli intervalli tra un’elezione e un’altra, resta l’anomalia della scelta di candidati che finiscono sotto il tiro incrociato della magistratura e dei loro oppositori personali spesso trascinandosi dietro il partito di appartenenza.
E’ successo in queste settimane in Puglia e in Sicilia, ma sarebbe stato lo stesso in un qualsiasi altro posto dell’Italia. Il candidato “azzoppato” da sempre fa parte del romanzo elettorale italiano: è un plot che sopravvive alle critiche e si ripropone di volta in volta. Queste sua resistenza rimanda a due fattori ben noti e mai affrontati e rimossi come sarebbe stato opportuno fare. Il primo riguarda la persona del candidato. In più di un’occasione si tratta di un soggetto che è riuscito a costruirsi un fortino dentro il quale ha provveduto ad ammassare consensi clientelari conquistati dispensando favori o anche promettendone, naturalmente in cambio di voti. L’identikit di questo candidato risponde spesso a quella di una persona che dispone di una rete di conoscenze e di risorse finanziarie non sempre di conclamata provenienza.
In casi sempre più frequenti esso non è un militante di quel partito che accetta di far correre il “cavallo” estraneo sotto le sue bandiere nella speranza di incrementare i consensi elettorali. Ciò comporta dei rischi che possono vanificare i benefici.
Il secondo problema chiama in causa i partiti politici che si presume debbano avere salda in mano la regia del meccanismo di partecipazione alle consultazioni. Cosa che non accade più da molti anni, salvo che per le forze politiche che ancora conservano una parvenza di quelle che erano un tempo le organizzazioni di alcuni grandi partiti. La crisi di questi ultimi, in parallelo con l’esplodere dei movimenti, ha progressivamente cancellato un percorso che veniva rigorosamente rispettato. Funzionava così: le segreterie e gli organi dirigenziali dei partiti si riunivano per tempo e selezionavano i candidati che spesso avevano alle spalle esperienze amministrative via via sempre più impegnative o comunque erano persone i cui meriti si presumeva essere forza di attrazione dei consensi. Ma erano, quelli, tempi in cui nei partiti c’erano, tanto per dire, i probi viri e i comportamenti dei candidati erano tenuti in gran conto anche quando essi venivano scelti fuori dalla cerchia dei militanti.
Poi anche quel meccanismo è saltato e si è assistito all’avanzata di un ceto politico spregiudicato che a un certo punto sembrava destinato a scomparire, spazzato via dal vento di “Mani pulite”. Così non è stato. Al contrario, con la disgregazione dei partiti il candidato è diventato sempre più un cane sciolto libero di muoversi senza regole. Salvo quelle scritte in un’ingiunzione giudiziaria che purtroppo, a differenza di quanto accadeva in passato, alcuni candidati spesso atteggiandosi a vittima esibiscono come un titolo di merito e non come l’incidente che dovrebbe consigliare la loro immediata uscita di scena. A quest’ultima dovrebbero provvedere gli elettori. Purtroppo le cose non sempre vanno in questa direzione.
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