Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, l’architetto e l’arredatrice dei sogni di Fellini, Pasolini e Scorsese hanno saputo trasferire al cinema la qualità del made in Italy e la libertà di chi ha scelto di vivere come cittadino del mondo. Il risultato è che l’America li adora e l’Italia ne ha nostalgia, sentimento peraltro ricambiato. Ma in Italia - per questioni di budget e non solo - si gira molto in location dal vero, e la fantasia è diventata un lusso anche sul set. Il viaggio che doveva portarlo a 18 nomination e 3 Premi Oscar (meritatamente vinti per The Aviator, Sweeney Todd e Hugo Cabret) lo scenografo Dante Ferretti – nato a Macerata il 26 febbraio 1943 - lo ha iniziato al porto di Ancona, che nel 1961 il regista Domenico Paolella aveva deciso di trasformare nei Caraibi per ambientarvi ben due film: “Le prigioniere dell’isola del diavolo” e “Gli avventurieri dell’oceano”. Accontentarlo fu un gioco da ragazzi, in tutti i sensi, perché Ferretti aveva 18 anni, si era fatto le ossa come disegnatore di cartoni animati alla Incom e sull’arte della scenografia aveva idee già molto chiare, come si sarebbe visto in seguito. “A Macerata – ricorda Ferretti - rubavo sempre i soldi dalle tasche di mio padre per andare al cinema dicendogli che andavo a studiare a casa di amici. Passavo interi pomeriggi al cinema dello Sferisterio, al cinema Cairoli, al cinema Corso, al cinema Italia e nei quattro cinema parrocchiali”. Gli avventurieri dell’oceano trovarono insomma pane per i loro denti. Più complicato fu con Pasolini. Dall'esordio coni “Medea” (1969), fino allo scandaloso “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975), la potenza figurativa pasoliniana trovò sempre uno straordinario supporto nelle scene di Ferretti. Poi arrivò Fellini. “Essere lo scenografo di Fellini – ha spiegato Ferretti a Silvia Bizio - significava realizzare quello che lui voleva, i suoi sogni, non i miei, per cui uno doveva entrare nella sua testa, abitare nel suo cervello, trovare un angoletto, conviverci. E stato cosi in tutte le cose che ho fatto con lui”. Ferretti costruì per Fellini i luoghi di cinque film, da “Prova d’orchestra” (1979) a “La voce della luna” (1990), ultima opera del maestro riminese. Mettersi nella testa degli altri è un esercizio che può dare più o meno soddisfazione, dipende da chi sono gli altri. Per questo Ferretti ha sempre scelto con cura i suoi registi, e per questo – quando si tratta di tradurre i loro sogni in realtà cinematografica - i migliori registi del mondo, da Tim Burton a Martin Scorsese, cercano proprio lui. Anzi lui e lei, perché Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo si declinano insieme da sempre, da quando cioè giovanissimi si conobbero e decisero che per non perdersi mai di vista la cosa migliore era quella di lavorare insieme. Risultato: 10 nomination lui, 8 lei. Per ora.