di Paolo Pagliaro
E’ in corso un confronto acceso, con ricadute politiche, tra chi pensa che l’inflazione nasca dall’avidità delle imprese e chi invece ritiene che l’aumento dei prezzi sia giustificato dall’aumento dei costi. E’ un tema al centro della campagna elettorale negli Stati Uniti ed è presente anche nel dibattito italiano sui cosiddetti extraprofitti. In attesa che gli economisti si mettano d’accordo, è di grande interesse la testimonianza resa ieri da Brunello Cucinelli, uno dei campioni dell’industria italiana del lusso che con la sua impresa capitalizza quasi 6 miliardi di euro.
“Quando ci quotammo – ha detto Cucinelli - il nostro advisor voleva che crescessimo del 30%, ma io mi sono invece battuto per una sana crescita del 10%, più solida nel tempo, più sostenibile. Lo dico senza giri di parole: l’avidità può rovinare i marchi, oltre alle persone che li guidano o agli imprenditori che li hanno fondati. Fissare obiettivi troppo alti di fatturato e redditività, costringe ad aumentare in modo esagerato i prezzi finali, strozzando i fornitori e risparmiando sul costo del lavoro. Non pagare il giusto le aziende della filiera, che sono più vulnerabili e, soprattutto, non aumentare gli stipendi dei nostri operai, può far gioire i vertici aziendali o parte degli investitori per qualche trimestre, ma nel tempo ci fa perdere tutti. La fiducia dei dipendenti, delle aziende con cui si lavora e degli investitori si guadagna in anni, ma si può perdere in un attimo”.
Questo ha detto Cucinelli, e il dibattito sull’esistenza della “greedflation”, l’ “inflazione da avidità”, può finire qui.