di Paolo Pagliaro
Una farmacia non può assumere chi l’ha ispezionata per conto dell’azienda sanitaria. Un funzionario pubblico che decide sull’assegnazione di un appalto non può poi lavorare nell’azienda che se l’è aggiudicato. Questo dice la legge del 2013 contro il cosiddetto pantouflage, cioè il fenomeno del passaggio dei funzionari dal settore pubblico a quello privato e viceversa, per sfruttare la loro posizione precedente presso il nuovo datore di lavoro. E questo si sforza di spiegare l’autorità anticorruzione tutte le volte – e sono tante – in cui viene richiesta di un parere.
Ma poiché certe leggi sembrano fatte per essere aggirate, nella vicenda dello spionaggio di massa portata alla luce dalla direzione distettuale antimafia di Milano molti dei principali protagonisti , i compratori di dossier, sono ex appartenti alle forze dell’ordine, ex poliziotti, ex finanzieri, ex carabinieri. E ci sono dipendenti del Viminale tra quelli che li vendono. Il tutto a beneficio di utilizzatori finali di alto rango.
Intervistato da Avvenire, il professor Ernesto Savona, direttore di Transcrime (il centro di ricerca su criminalità e innovazione dell’Università cattolica di Milano) denuncia il malcostume delle aziende che scelgono ex membri delle forze dell’ordine come capi della sicurezza. Sicurezza che diventa spionaggio quando l’addetto chiama l’amico in servizio per chiedergli informazioni riservate su questa o quella persona. I funzionari pubblici per contratto non dovrebbero divulgare i dati di cui vengono a conoscenza. Ma è un principio che nelle vicende scoperte dall’inchiesta di Milano è stato calpestato anche per tornaconti modesti. Secondo il professor Savona occorre interrompere questo sistema di porte girevoli tra forze dell’ordine e imprese, imponendo un congruo periodo di stacco tra il congedo e il passaggio nel privato. Questo impedirebbe di trarre un vantaggio illecito dai contatti personali.