Più di mezzo secolo è trascorso da quando Pier Paolo Pasolini, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera in cui prendeva di mira i "capelloni", rilevava come i giovani di fine anni Sessanta inizio Settanta avessero pronunciato una "condanna radicale e indiscriminata" contro i loro padri, alzando verso di essi "una barriera insormontabile che ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico". Sullo sfondo, il tema dell''evaporazione del padre' in età contemporanea, sollevato dallo psicanalista Jacques Lacan. Ma, lungi dall'evaporare, i padri sono profondamente cambiati. I 'patriarchi’ che avevano in mente Pasolini e Lacan non sono i 'nuovi padri' degli ultimi decenni, messi sotto la lente dalla antropologa e primatologa americana Sarah Blaffer Hrdy, nel saggio "Il tempo dei padri", pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. Un saggio scientifico che, attraverso un viaggio a ritroso nei millenni del percorso evolutivo umano, getta nuova luce sulla rivoluzione culturale ancora in corso nel rapporto tra i generi, svelando "l'istinto maschile nella cura dei figli". Istinto, sì, perché qui si parla di qualcosa di naturale, non solo culturale. Il maggior coinvolgimento maschile nella cura di neonati e bambini molto piccoli, infatti, non è solo l'inevitabile portato delle nuove condizioni socio-economiche, come l'emancipazione femminile e la presenza delle donne nel mondo del lavoro. "I raggianti neopadri profondamente impegnati nella cura dei propri figli in realtà non sembrano andare ostinatamente 'contro-natura', In realtà, le loro reazioni, sono profondamente biologiche" spiega l'autrice, ricordando come endocrinologi e neuroscienziati abbiano riscontrato negli uomini che si prendono cura dei bambini variazioni ormonali e risposte cerebrali del tutto identiche a quelle delle madri. Una scoperta che, per sua stessa ammissione, ha lasciato stupita Sarah Blaffer Hrdy, da madre e da nonna oltre che da studiosa. Una scoperta che stravolge il copione darwiniano, in base a cui mentre le femmine allevano i piccoli, i maschi nascono per dedicarsi ad altro. Ad apparente conferma di questo copione, il fatto che nelle varie culture e nelle varie epoche ci siano rari esempi di uomini che si prendono cura dei bambini come fanno le madri. "La cura dei bambini molto piccoli da parte del padre è una cosa che nessuna civiltà del passato ha mai incoraggiato tra i suoi uomini istruiti e responsabili", scriveva all'inizio degli anni Sessanta l'etnologa Margaret Mead. Ma sebbene nel corso dell'evoluzione e della storia gli uomini praticamente non si siano mai occupati di bambini, i nuovi padri oggi sanno sfoggiare la stessa sensibilità delle madri. E questo nonostante i maschi delle scimmie antropomorfe da cui discendiamo non mostrassero alcuna propensione in questo senso, presentando anzi tendenze infanticide. La domanda a cui vuole rispondere il saggio, una domanda che fino a qualche tempo fa nessuno si faceva, è proprio come abbiano fatto queste reazioni istintive a emergere in una linea evolutiva così povera di cure paterne. "La mia scoperta inattesa - scrive l'autrice - è che all'interno di ogni uomo si nasconde una ancestrale propensione alla cura che rende i maschi protettivi e amorevoli quanto la madre più devota". Per capire come questo sia stato possibile, l'autrice ci conduce per mano attraverso i sei milioni di anni trascorsi da quando abbiamo condiviso l'ultimo antenato comune con gli altri primati, e ancora prima in un tempo molto anteriore a quello dei mammiferi, "studiando i circuiti neuronali che sono rimasti sugli scaffali di Madre Natura, non sempre utilizzati ma pronti ad essere attivati e riconvertiti nel caso le circostanze ne richiedessero l'uso". Potenzialità dormienti, svegliate dal cambiamento in corso nel rapporto tra i generi, che ha modificato anche il ruolo paterno. Potenzialità che nemmeno la primatologa immaginava, per sua stessa ammissione, da americana altoborghese, classe 1946, cresciuta in un periodo in cui il modello ideale era rappresentato dalla famiglia nucleare, in cui l'uomo andava al lavoro mentre la moglie era destinata alla cura della casa e dei figli, secondo la rigida distinzione dei ruoli tipica della civiltà borghese. Ma quello che appare ovvio, naturale, alla fine può essere sempre smentito. E l'argomentazione che certe cose sono sempre andate in una determinata maniera perché così stabiliscono le leggi della natura, tanto cara a conservatori e reazionari di tutto il mondo, non è poi così solida. Ed è in questa chiave che "Il tempo dei padri" si presenta come un libro scientifico dalla forte tensione politica. Il tempo dei nuovi padri, che possono essere premurosi e accoglienti quanto le madri, è infatti anche quello dei continui ed efferati femminicidi, il tempo di un patriarcato ancora non pienamente lasciato alle spalle, di un gender gap - come è il caso del nostro Paese - che rende ancora lontano il raggiungimento di una effettiva eguaglianza di genere. È il tempo di una battaglia culturale e politica in atto, in cui certe conquiste che in molti (e soprattutto in molte) ritenevano acquisite una volta per tutte, in realtà non possono essere date per scontate. “Nel 2014, con la nascita del nostro primo nipote, per la prima volta nella mia vita ho osservato un uomo totalmente immerso nella cura di un neonato, e per scelta. Anatomicamente parlando, non sono sicura che si possa dire che mi si è allargato il cuore, ma è così che mi sono sentita quando ho visto il marito di mia figlia, David (nato nel 1978, alla fine della generazione X), davanti a una bacinella di plastica con le maniche rimboccate sulle braccia pelose, mentre con le sue mani virili lavava la pelle rosea e delicata del figlio neonato con una pezzuola insaponata. Osservandolo, mi sono meravigliata di vedere l’’uomo cacciatore’ davanti a una bacinella e sono stata pervasa dalla gratitudine” racconta l’autrice. Se, per dirla con Simone de Beauvoir, “il problema femminile è sempre stato un problema dell’uomo”, la ridefinizione del ruolo paterno rappresenta un momento centrale in quel processo più ampio di ridefinizione dell’identità maschile, necessario per superare la disparità e la violenza di genere. Ma l’epoca dei nuovi padri, sottolinea Sarah Blaffer Hrdy, è la stessa in cui “un altro ‘uomo cacciatore’ poteva vantarsi di non aver mai cambiato il pannolino ai suoi figli, di averci ‘messo i soldi’ mentre la moglie si sarebbe ‘presa cura dei bambini’, e questo presumibilmente perché siamo umani e ‘l’uomo è il più cattivo di tutti gli animali’ impegnato in ‘una serie di battaglie che si concludono con la vittoria o la sconfitta’. Quell’uomo nel 2016 sarebbe stato eletto presidente degli Stati Uniti. Nel frattempo, nello stesso paese, altri uomini che si riconoscevano in definizioni della virilità molto diverse si occupavano dei neonati con sensibilità dando la priorità all’accudimento”. Nel 2024, però, quell’uomo è tornato alla Casa Bianca. (Roc)
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