Il risultato delle elezioni regionali in Emilia Romagna non ammette repliche: ha vinto Michele De Pascale, sindaco al secondo mandato di Ravenna, presidente dell'Unione delle Province, fiore all'occhiello della scuola dell'ex Partitone, politico da quando era in fasce e lanciatissimo nel suo cursus honorum. De Pascale è anche il frutto di quella "placida armonia" ravennate, città già capitale d'Impero e quindi "geneticamente" importante, dove da decenni un impasto di massoneria e partiti governa - benino rispetto alla media italiana - la città e le sue principali vicende economiche-sociali e dove si è riusciti, parzialmente, a far convivere industria pesante, agroalimentare e turismo. Una città che ha dovuto attraversare anche tragedie recenti, ma che ha sempre mantenuto questa secolare "placida armonia", che è stata appena increspata dalla vicenda della storia e da personaggi come Byron e Gardini. La sconfitta è Elena Ugolini, riminese trapiantata a Bologna, preside (adesso si dice dirigente scolastico), personaggio di spicco del movimento di Comunione e Liberazione. Un movimento che ha il suo asse portante sulla via Emilia che collega Milano e Rimini e che è tanto amato quanto odiato perché portatore di idee forti che dividono, di presunte pratiche clientelari criticate e di un pregiudizio negativo ed errato che dipinge Cielle come una setta. Il risultato di queste elezioni è il frutto di un suicidio del centrodestra e l'esito, dato dalla maggior parte degli analisti come per scontato, mostra diversi aspetti interessanti. Il centrodestra ha fatto suo il mantra "uniti si vince" e nel caso emiliano-romagnolo ha preso senza fiatare il "pacchetto" Ugolini che si era proposta come candidata civica con un suo programma già stilato. Il centrodestra, pur di non litigare, ha accettato tutto senza fiatare. Errore mortale: per l'unità si è riunciato alla politica e gli elettori hanno sentito "aliena" questa proposta e semplicemente non sono andati a votare. Basti pensare che Fratelli d'Italia, attualmente il principale partito del centrodestra, alle europee del 2024 aveva superato i 555mila voti e questa volta si è fermato a 354mila (duecentomila voti in meno rispetto a sei mesi fa). Non parliamo poi della Lega che nelle scorse regionali - che avevano visto lo scontro Salvini-Bonaccini, (Borgonzoni era la candidata di facciata) - aveva raccolto 670mila voti e in questa tornata si è fermata a 78mila. Cioè circa il 90% di chi ha votato Lega nel 2019 non ha rivotato cinque anni dopo il partito di Salvini. Una catastrofe politica.
Eppure questa volta, più che nel 2019, i motivi di critica al presunto modello di buongoverno del Partitone in Regione c'erano sul serio ed erano sostanzialmente due: la disastrosa gestione del territorio e dell'ambiente e la crisi della sanità pubblica, generata soprattutto dalla bella idea ma gestita in maniera pessima di creare l'Ausl unica di Romagna. Problemi a cui lo stesso candidato De Pascale non poteva dirsi estraneo. Il centrodestra, nella sua pochezza di analisi, si è limitato a qualche slogan polemico e a generiche accuse senza riuscire a spiegare queste tematiche complesse e ad individuare responsabilità precise e così non è risultato credibile come alternativa. Per quel che riguarda il Pd va detto che quello che viene presentato come un successo senza precedenti, in realtà rappresenta una perdita di oltre centomila elettori rispetto alle regionali del 2019 (749mila voti con Bonaccini, 641mila adesso) e alle europee di 6 mesi fa (75mila voti in meno). Da segnalare la scomparsa del Movimento 5 Stelle che proprio tra Bologna e la Romagna aveva registrato alcune delle sue prime affermazioni. Resta uno "zoccoletto" di appena 50mila elettori, numeri da meetup degli inizi, e pensare che il movimento di Grillo nel 2018 era diventato il primo partito della Regione con 661mila voti, superando lo stesso Pd. Ha fatto molti discutere il dato sull'astensione: 46,42%, un milione e 624mila votanti rispetto ai 3 milioni e mezzo degli aventi diritto. Non si tratta di una novità. Nel 2014 dopo gli scandali che coinvolsero la Regione votò solo il 37,71%. È il modo con cui gli Emiliani-Romagnoli dicono che cose non vanno bene. Alle elezioni successiva, infatti, l'affluenza tornò a crescere. De Pascale deve evitare i trionfalismi e partire da questo dato per sistemare i due grandi problemi (territorio e sanità) che assillano la Regione.
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