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Parlare di automotive è da australopitechi

Parlare di automotive è da australopitechi

di Franco Fregni

L'albergo di fronte casa mia è proprietà di un nordafricano che lo ha acquistato da una storica famiglia di albergatori riminesi. D'inverno lo striminzito parcheggio riservato davanti all'hotel - due posti - si trasforma in officina. Nottetempo bisarche provenienti dalla Germania scaricano Mercedes anni '90 che vengono poi trasformate dall'albergatore - che in pochi minuti si trasforma in meccanico - e dai suoi sodali. Verso sera l'officina all'aperto si riempie di curiosi: omaccioni brutali dell'Est che credono di essere maschi Alfa, anziani italiani, accompagnati da badanti, muniti di bastoni, stampelle o carrozzine. Quasi tutti hanno un cane, feroce per gli uomini dell'Est; malridotto per i pensionati italiani, quasi tutti fumano sigarette, un'altra cosa ormai scomparsa; tutti rivolgono ossessivamente lo sguardo al palmo della mano per compulsare nevroticamente lo schermo dello smartphone. Le auto truccate vengono comprate da ‘maranza’ che le usano per rombarci la notte, alla ricerca di un’improbabile integrazione o di una più probabile riaffermazione della loro diversità.
A 25 metri in linea d'aria c'è il mare che, al di là delle dune invernali, ci riporta in un mondo eterno, se non fosse per la plastica e la sporcizia spiaggiati sulla battigia, eterne anch'esse.
A pochissimi chilometri di distanza, sul fiume, osservo le tane di orde di chinghiali che nottetempo si avvicinano sempre più alla città, e poi sento i lupi e vedo i daini oltre ad ogni tipo di volatile esistente sulla faccia della terra. Anche qui plastica e sacchetti del rusco dei maiali umani. In certe zone tornate selvagge, dove manca solo la scritta hic sunt leones, il cane mi guarda come a dire: "dobbiamo entrare qui?" La bestiola si ferma spesso, ha paura, e solo vedendo me o mia moglie avanzare decisi armati di bastoni e Leatherman, pronti a scannare ogni genere di selvaggina, prende coraggio.
In mezzo la città nel caos, ostaggio di assurde rotonde volute dal folli uffici della mobilità per motivi a me noti ma indicibili al pubblico, invasa in ogni anfratto da auto incapaci di muoversi, che producono quantità immense di calore e inquinamento, tanto che i 35 giorni di limiti europei di sforamenti vengono puntalmente superati da decenni. A bordo gente stralunata che bestemmia e ingiuria il prossimo chiedendosi, chiusi tra lamiere e vetri, che senso abbia la propria vita.
Questo è il mondo dell'automotive, questa è la nostra società.
Poi accendo la televisione e ascolto i nostri politici che mi sembrano australopitechi della Rift Valley di milioni di anni fa blaterare di politiche industriali per il Paese, l'Europa, il Mondo.. per l'Automotive, l'"industria nel suo complesso" e via concionando. Neppure nei pub di Manchester tra il '700 e l'800 si sentivano discorsi simili. Eppure alcune cose dovrebbero essere chiare a tutti:
1 - il mondo dell'auto, come mobilità, come sogno di libertà e come simbolo dell'appendice della cività occidentale è finito da decenni. Sono più di 50 anni che i poeti realisti ci spiegano che sulle autostrade del sogno americano (succedaneo della grande civilità occidentale conclusa nell'indicibile dell'Olocausto e dei totalitarismi) viaggiano macchine suicide.
2 - Gran parte dei prodotti di media-bassa qualità che noi consumiamo quotidianamente può essere prodotta in stabilimenti senza alcuni intervento umano che non sia il controllo che può essere effettuato anche da remoto con uno smartphone.
3 - Gran parte della burocrazia che regola le nostre società avanzate può essere computata da macchine senza alcun apporto umano, se non per il controllo da remoto come sopra.
4) Gran parte delle professioni, giornalisti, avvocati, medici, ingegneri ecc. ecc. può essere sostituita dalla macchine immediatamente e via dicendo.
Questo non avviene per motivi sociali, di ordine pubblico, per di paura di affrontare cambiamenti così repentini e forti, perché ci piace raccontare, come ci piace leggere i bigliettini dei Baci Perugina, frasi piene di retorica sull'indispensabilità dell'umano ecc. ecc.
Ora, se ci pensate bene, che dei politici, dei colleghi, degli studiosi - che dovrebbero pensare a cosa sarà da qui a 10/20 anni - parlino di automotive o di politiche industriali è un nonsense. Non c'è più l'automotive e non c'è più l'industria. Questa gente si è persa "La ricchezza delle Nazioni" di Adamo Smith del 1776, si è persa "Il Capitale" di Marx del 1867 e soprattutto si è persa tutte le opere novecentesche di Schumpeter e il suo concetto di "distruzione creatrice" (per un compedio suggerisco il mitologico 'Capitalismo, Socialismo, Democrazia' del '54 nella edizione italiana del '64 delle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti, a proposito di persone che pensano bene e fabbricano bene) che quelli della Silicon Valley ripassano a colazione. Basti pensare che Facebook, uscito nel 2004, è ormai un gadget per gli anziani delle Rsa. E questi parlano di politiche industriali e di automotive? E’ questo il genio europeo? Mentre Trump, universalmente definito un coglione, si fa spalleggiare da quel suonato di Elon Musk che però si occupa di auto elettrica, con l'unico brand di successo del 'nostro' mondo, di satelliti e di razzi, pensando ad una futura colonizzazione della Luna o di Marte (per spedirci la "produzione eccessiva" di un'umanità che ha ormai superato gli otto miliardi?).
Due ultime considerazioni.
a - Una utilitaria o un'auto di media gamma costano meno di una bicicletta sportiva di alta gamma ricca di tecnologia. Significa che il prodotto auto non esiste, le auto non le vuole più nessuno, neppure se regalate.
b - nel paese in cui sono nato, nel 1883 venne costruita una ferrovia che collegava a Modena, la grande città più vicina. Nel 1964, ultimo anno dei baby boomers e della fine dell'illusione di una rinascita occidentale, la ferrovia venne dismessa. Tutta la gente che allora lavorava nelle fabbriche della città - una della Fiat, adesso resta lo stabilimento Maserati che non si sa che fine farà - doveva andare a lavorare in auto che pagava a rate ai suoi padroni. Adesso le fabbriche della monarchia italiana non ci sono più, ma la gente è ancora costretta ad andare a Modena in auto. Ecco invece di politica industriale le nostra politica dovrebbe chiedersi perché nel 2024 non c'è ancora la dorsale adriatica dell'Alta Velocità, dovrebbe chiedersi perché la sua Capitale e tante altre città importanti, hanno una mobilità pubblica da terzo mondo, perché invece di continuare a costruire strade che non siamo neppure in grado di mantenere decentemente, non si crea una mobilità capillare su ferro con treni all'idrogeno ecc. ecc.
Dai forza, gli australopitechi sono usciti dalla Rift Valley e sono diventati uomini, basta essere un po' curiosi…

(© 9Colonne - citare la fonte)