Mario Clementoni, il re del Paese dei balocchi, è morto qualche giorno fa, ad ottantasette anni: lascia l’azienda omonima, sinonimo di “giocattolo”. “ClemClem” è stato un tormentone pubblicitario fortunatissimo, in chiusura di ogni spot, una onomatopea indimenticabile capace di penetrare le tenere menti desideranti dei bambini e convincere per via acustica i papà all’acquisto di un “Sapientino”, per dirne uno. Non c’è soldo che esca con più automatica naturalità dalle tasche dei babbi che non sia per un giocattolo al proprio bambino. L’universo ludico dura finché ricevi giocattoli. Poi un giorno, quando il ragazzino che eri s’aggrappa alla barba di Babbo Natale, quella soffice barba bianca, e scopre che è finta, diventa in un certo senso uomo e si avvia a varcare la sottile linea tra divertimento irresponsabile e vita. Clementoni è stato il guardiano di quella soglia, che nel prolungarla troppo si esce bamboccioni, nel non averla affatto o poco, si cresce troppo duri, ed incapaci poi di restituire generosità genitoriale. Sarebbe in ogni caso un dramma. “Mi portavo il lavoro a casa. A volte sono stati dei formidabili collaudatori”, dice Mario dei suoi figli. Il collaudatore di giocattoli: il massimo per un infante. Ma come iniziò la sua avventura? Si legge in una preziosa intervista sul sito dell’azienda: “I primi prodotti sono stati realizzati pezzo per pezzo, uno alla volta. Non avevo la possibilità di fare grossi investimenti, e incominciai in un garage, qui a Recanati. Tre anni dopo acquistai un fabbricato”. Parole che lette oggi danno significativa energia a chi vuole fare impresa, certo in un momento non molto favorevole. La conduzione familiare dell’azienda, adesso in mano ai primi collaudatori, i figli di Mario, ha un imprinting molto chiaro, sempre nel solco del rapporto col padre: “Non avevo ancora tre anni, indossavo una tuta, avevo un martello in mano e un triciclo di ferro. Volevo imitare mio padre che guidava camion e aveva un'officina. Io ero sempre là dentro, con quella tuta addosso e il martello in mano, mi mettevo sotto i camion e battevo con quel martello...” Il principio dell’imitazione dunque, dell’esempio, del modello e quindi del modellino di poi, da cui nasce ogni idea. Se si pensa che il primo prodotto di successo di Clementoni fu la Tombola della Canzone… la tombola già esisteva, Sanremo pure: genio è chi accosta le cose e le fa rimare. Lo racconta così: “Era il 1963, il festival di Sanremo costituiva l'evento dell'anno, le canzoni allora restavano in voga per anni. Così mi venne in mente di fare La Tombola della Canzone. Inventai una pianola a manovella in cui scorreva un nastro forato. Si girava la manovella, il nastro passava e suonava il motivo. Chi giocava doveva indovinare il titolo della canzone e coprirlo sulla cartella della tombola. Questo fu il prodotto con cui entrai nel mercato. Fu subito un successo”. Sì, Mario Clementoni è stato il guardiano della soglia che divide il gioco dalla vita, ma ci ha anche insegnato che la vita non può escludere il gioco. ClemClem.
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