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direttore Paolo Pagliaro

Se a Roma chiudono
le sale operatorie

Se a Roma chiudono <br>le sale operatorie

di Paolo Pagliaro

Ieri uno degli ospedali più grandi e centrali di Roma, il San Giovanni, ha deciso di sospendere gli interventi chirurgici non urgenti per garantire un letto ai malati in arrivo dal pronto soccorso. Un’emergenza analoga si registra in quasi tutti gli ospedali della capitale, con 150 pazienti in attesa di ricovero al policlinico Gemelli, 158 all’Umberto primo, 50 al San Filippo Neri, 114 al Sant’Andrea, 118 al San Camillo e così via per un totale di oltre 1500 persone parcheggiate sulle barelle dei reparti di medicina d’urgenza, dove si occupa di loro un numero sempre più esiguo di medici e infermieri stremati.
È la fotografia del declino del sistema sanitario pubblico denunciato in questi giorni anche da una rivista scientifica autorevole come Lancet, che vede nel regionalismo una fonte di iniquità e inefficienza.
Cinque anni fa, in questi giorni, fummo sorpresi da una grave crisi sanitaria. Nella lunga stagione del covid, una stagione di lutti e sofferenze, si sprecarono le promesse di futuri investimenti per rafforzare ed estendere i presidi a tutela della salute. Dopo gli anni dell’emergenza e della retorica, ciò che resta si può riassumere in poche cifre: il rapporto tra spesa sanitaria e Pil era del 6,4% l’anno scorso, sarà del 6,3 quest’anno e scenderà ancora, al 6,2, nel 2027. È uno slittamento che stride con quel che accade nel resto d’Europa: Germania e Francia spendono per la sanità pubblica circa il 10% del Pil, il Regno Unito l’8,9, la Spagna il 7,2.
Tutto lascia pensare che l’Italia si stia avviando verso una sanità regolata dal libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative.

(© 9Colonne - citare la fonte)