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I difficili rapporti Usa-Messico tra narcotraffico e migrazioni

I difficili rapporti  Usa-Messico tra narcotraffico e migrazioni

di Piero Innocenti

Il Messico ha indici di mortalità e vita media simili a quelli statunitensi anche se una parte non trascurabile dei suoi abitanti vive ancora una situazione di povertà, analfabetismo e arretratezza. La miseria e gli alti tassi di mortalità alimentano l’emigrazione, legale e illegale, verso gli USA. Paese a fortissima componente rurale, il Messico si è rapidamente industrializzato e urbanizzato da più di mezzo secolo, a seguito dello sfruttamento delle risorse minerarie e grazie alla vicinanza con gli USA, economicamente molto stimolante. Da questi ha mutuato anche il modello costituzionale: è una Repubblica federale di tipo presidenziale e dal giugno 2024 Claudia Sheinbaum, esponente della sinistra, è stata la prima donna ad essere eletta presidente  del Messico.
Durante la campagna elettorale le organizzazioni di narcotrafficanti hanno fatto di tutto per assicurare la vittoria dei loro i preferiti con il bilancio, secondo i dati ufficiali, di ben 26 candidati assassinati. La mancanza di alternativa politica che ha caratterizzato la storia del paese per decenni, ha portato al logorio della classe dirigente che è risultata coinvolta, in passato, in ambigui rapporti con il crimine organizzato, e  corrotta dai capitali derivanti dal narcotraffico tanto che si è spesso parlato di narcocrazia.
 Le prime organizzazioni di narcotrafficanti messicani risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso. Furono, per ironia della sorte, proprio gli americani che incentivarono, in Messico, la coltivazione del papaver somniferum, da cui si estrae la morfina, base per l’eroina. Durante la seconda guerra mondiale, infatti, le riserve di morfina e di eroina, usate per i feriti come anestetico, si erano assottigliate paurosamente. La necessità di sopperire a questo fabbisogno indusse gli USA a cercare, tra i vicini e gli alleati, territori adatti a questa coltivazione. Così nei dipartimenti messicani di Sinaloa, Durango e Sonora, sotto la direzione di esperti cinesi, furono impiantate coltivazioni di papavero da oppio. Nel municipio di Baderaguato, in Sinaloa, doveva nascere una delle prime bande dedite al narcotraffico, tra l’altro capeggiata da una donna, Manuela Caro, che è considerata anche la pioniera del traffico di droga via aerea. Fece, infatti, costruire varie piste di atterraggio, utilizzate dal socio statunitense Meyer Lansky. Il tramonto della “famiglia” di Manuela Caro, conseguente al suo arresto e alla morte avvenuta nel 1978 nel carcere di Culiacan, favorì la nascita e l’emergere di altri gruppi tra cui quello attivo a Guadalayara, facente capo ad Alberto Sicilia Falcon, cubano di nascita ma di origini italiane. Non potevano mancare esponenti di Cosa Nostra che in Messico facevano capo al siciliano “Pino”, ossia Giuseppe Catania. Personaggio che era riuscito a guadagnarsi una buona posizione sociale tanto che non era difficile vederlo praticare equitazione con le alte gerarchie militari del paese.
 Negli anni seguenti sono nati altri cartelli della droga tra cui quello del Golfo ( detto anche di Matamoro, dal nome della città, alla frontiera del Texas), di Tijuana, di Guadalajara, assumendo un ruolo di primaria importanza quali broker mondiali della cocaina prodotta nei Paesi andini. L’attuale panorama in Messico registra contrasti tra il cartello “Jalisco Nueva Generacion” (CNG) che traffica prevalentemente in metamfetamine e fentanyl e il “cartello di Sinaloa” storicamente dominante ai quali si aggiungono i Los Zetas, la Familia Michoacana , i Cavalieri Templari, i Beltran Leyva ed altri minori.
 L’espansione dei gruppi criminali messicani è consolidata da anni in tutto il continente americano e Canada e Usa sono i due mercati privilegiati per i vari tipi di droghe prodotte o gestite in Messico. La permeabile frontiera a Sud e l’enorme flusso di migranti regolari e irregolari che giornalmente si muove verso il Nord, agevola il traffico delle droghe.
In questo contesto va inquadrato il tema scottante delle  “deportazioni” di massa delle persone migranti senza documenti ( in maggioranza latinos, tra cui alcuni milioni di messicani), minacciate dal presidente Trump ed attuate sin dai primissimi giorni del suo mandato ( oltre 6mila in un mese, ma con Obama presidente, nel 2012, si raggiunse il picco massimo di 409.849 deportati).  Il flusso di persone tra i due paesi è diventato naturale per lavorare da quando, nel 1848, il Messico, firmando un trattato di pace, ha perso i territori di Texas, Nuovo Messico e Alta California cedendoli agli Usa. Senza contare le ondate migratorie legate all’aumento della domanda di manodopera negli Usa, in particolare nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e dei servizi.

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