di Paolo Pagliaro
A tre anni dall’invasione dell’Ucraina, quella guerra ha sempre più l’aspetto di un enorme affare in cui il diritto – compreso quello umanitario – viene sacrificato sull’altare del profitto. Non c’è solo lo scambio pace-terre rare proposto da Trump agli ucraini, uno scambio tanto immorale quanto il silenzio con cui è stato accolto e metabolizzato dai governi e dalla grande stampa. . Ci sono anche la miriade di piccoli affari fioriti ai margini di un conflitto che è già costato centinaia di migliaia di morti, selezionati preferibilmente tra i poveri sia da Mosca sia da Kiev.
L’ultimo business di cui si ha notizia viene raccontato dal consorzio di giornalisti “Investigate Europe” . Nonostante le sanzioni che vietano alle aziende dell’Unione europea e del Regno Unito di vendere componenti aeronautici alla Russia e le restrizioni all’export imposte dagli Stati Uniti, si è scoperto che grandi quantità di pezzi di ricambio per velivoli sono stati spediti da oltre cento fornitori europei e americani ad aziende russe grazie al ruolo di società intermediarie con sede in India. La merce include elementi critici come generatori, sensori, pale d’elica e display della cabina di pilotaggio. Tra i fornitori ci sono grandi marchi come Boeing e Airbus, ma anche piccole aziende, tra cui una italiana. L’inchiesta si può leggere sulla rivista Altraeconomia.
Dall’invasione russa a oggi le fabbriche d’armi hanno generato ricavi per 632 miliardi di dollari. Le cinque principali compagnie petrolifere mondiali hanno realizzato profitti per oltre 281 miliardi, grazie all'aumento dei prezzi dell'energia. L’unica voce che si è levata contro l’industria della guerra è stata quella di Papa Francesco.