Eataly è una invenzione, una formula che tiene insieme supermercato, fast food, alta ristorazione, enoteca, sale per dibattiti, pur non essendo riducibile né all’uno, né all’altro, né all’altro ancora. E quando misceli bene ingredienti già dati, crei la novità; è il segreto della cucina. Tutta qui sta la grandezza dell’imprenditore di Alba Oscar Farinetti, che ha esportato la sua creatura e con questa il made in Italy, sostanzialmente in tutto il mondo, da New York al Giappone. Deve a Carlo Petrini parte dell’intuizione, perché l’ideatore di Slow Food fu “il primo a farmi capire che il cibo è l’unico bene di consumo che noi mettiamo dentro il nostro corpo e non fuori e che quindi è molto più importante di tutti gli altri”. Come dagli torto: sei quello che mangi, come sei quello che puoi mangiare. Eataly in un certo senso è anche un emblema architettonico della scala sociale: al primo piano un panino, al secondo la mozzarella di bufala, al terzo il ristorante d’eccellenza. Più sali più spendi, se si passa l’analogia, ricorda la visione scenografica della soap opera Centovetrine, il centro commerciale più famoso della televisione commerciale, dove ai piani alti c’erano i ricchi cattivi, e ai piani bassi il popolo buono e consumatore. Ma qui nel maxistore mondiale dedicato interamente all’enogastronomia italiana, la scala è mobile. La sali e la scendi come vuoi, un giorno un panino, un giorno magari il ristorante. La scorsa primavera Farinetti ha inaugurato l’Eataly romano. C’erano molti politici. L’ex presidente del gruppo di elettrodomestici UniEuro ha puntato tutto sul rosso, verrebbe da dire, cioè su Matto Renzi. Ha espresso pubblicamente apprezzamento nei suoi confronti, ha battagliato al suo fianco nell’agone delle primarie di centrosinistra. Forse è l’unica battaglia che non ha vinto (non scriviamo che l’abbia proprio persa, perché immaginiamo il sindaco di Firenze ancora futuro protagonista della scena), c’è tempo comunque per scoprire se Farinetti abbia puntato sul cavallo sbagliato. A Massimo Gramellini sulla Stampa ha detto che “rileggendo per la ventisettesima volta l’Idiota di Dostoevskij – li dimentica e quindi è un coatto della rilettura, ndr - ho ritrovato il passaggio in cui fa dire al Principe: ‘La bellezza salverà il mondo’. Io dico: la bellezza salverà l’Italia”. La bellezza, sì. Nella stessa intervista, poco dopo spiega qual è il fine non commerciale dei suoi maxistore, ammattendo che la conoscenza del cibo in Italia è minima: “Esistono duecento tipi di mele. Eataly è nata per mettersi a parlare di mele. Così riesce a far sentire figo chi le mangia”. Ma forse ancora più figo è chi s’è messo a contar le mele, a dare dunque valore alla diversità.
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