di Paolo Pagliaro
Dobbiamo ai bombardamenti russi la notizia che 110 pacifisti italiani del Movimento Europeo di Azione Non Violenta nei giorni scorsi si trovavano in Ucraina per portare aiuti e solidarietà. Se il treno che li trasportava non fosse stato sfiorato dai missili , la missione si sarebbe conclusa nel disinteresse generale, almeno in Italia, come quasi sempre accade con le iniziative del volontariato. I promotori - movimenti ecclesiali, associazioni, amministratori locali – avevano così riassunto lo scopo della spedizione, pianificata nell’ambito del Giubileo: “non andiamo in Ucraina per dire che siamo buoni e pacifici. Andiamo per essere accanto agli ucraini aggrediti e martirizzati da tanto, troppo tempo. Siamo lì per abbracciarli e condividere il loro dolore”.
In Ucraina non è difficile incrociarlo, il dolore. Ai volontari, il vescovo latino di Kharkiv ha detto di aver sepolto una mamma che teneva tra le braccia il suo bambino e ha spiegato che non erano riusciti a staccarli perché erano bruciati insieme.
I numeri reali delle perdite subite in guerra da russi e ucraini restano un segreto che tutti cercano di custodire, per l’impatto pesante che la verità potrebbe avere sull’opinione pubblica interna. Ma secondo fonti americane i caduti ucraini sarebbero 300 mila e secondo l'intelligence britannica sarebbero 800 mila quelli russi. In entrambi i casi una parte significativa delle perdite riguarda persone che prima della guerra erano insegnanti, impiegati, operai, studenti, contadini - chiamati a combattere attraverso la leva obbligatoria o la mobilitazione.
Viene decimata una generazione che non trova difensori e portavoce.