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direttore Paolo Pagliaro

ESECUZIONI A MORTE
IN CONTINUO AUMENTO

ESECUZIONI A MORTE  <BR> IN CONTINUO AUMENTO

In occasione della 23ma Giornata mondiale contro la pena di morte Amnesty International si è unita alla Coalizione mondiale contro la pena di morte e ad altre organizzazioni e associazioni abolizioniste per denunciare il continuo uso della pena capitale e incoraggiare le iniziative volte alla sua completa abolizione. Le tendenze sin qui riscontrate nel 2025 illustrano un significativo aumento delle esecuzioni in alcuni Stati: “alcuni governi hanno mostrato una rinnovata ostinazione a usare questa punizione crudele come strumento di repressione e controllo, spesso accompagnata da fallaci narrative volte a creare una falsa impressione di sicurezza e della mano dura delle autorità nonché a ottenere vantaggi politici” denuncia l’organizzazione umanitaria. Dopo i minimi storici registrati durante la pandemia da Covid-19, i dati complessivi raccolti da Amnesty International risultano in continuo aumento. Negli ultimi anni, ancora di più negli ultimi mesi, l’uso della pena di morte si è intensificato in un contesto globale caratterizzato da insicurezza, instabilità politica ed economica e, in alcuni stati, da operazioni militari. In uno scenario nel quale lo stato di diritto e il rispetto del diritto e degli standard internazionali sui diritti umani si vanno indebolendo, l’aumento delle esecuzioni mostra tanto l’arbitrarietà della pena di morte quando la politicizzazione del suo uso.

Nei primi nove mesi del 2025 le esecuzioni hanno raggiunto livelli allarmanti in alcuni stati: il numero delle esecuzioni registrate nell’intero 2024 è stato superato o è persino raddoppiato.

Alla fine del mese di settembre in Iran erano state superate le 1000 esecuzioni, rispetto al già triste totale di 972 del 2024. Si tratta del più alto numero di esecuzioni mai registrato da Amnesty International in questo paese da almeno 15 anni.

In Arabia Saudita, con ogni probabilità, alla fine del 2025 il numero delle condanne a morte eseguite avrà superato il record di almeno 345 esecuzioni del 2024.

Le 34 condanne a morte eseguite in dieci stati degli Usa nei primi nove mesi del 2025 costituiscono un aumento di oltre un terzo rispetto ai dati del 2024. Le autorità della Florida, il cui governatore Ron De Santis è un accanito sostenitore della pena capitale, sono le principali responsabili di questo allarmante aumento con ben 13 esecuzioni. Poiché entro la fine dell’anno sono previste altre nove esecuzioni, il 2025 potrebbe risultare l’anno col maggior numero di condanne a morte eseguite da oltre dieci anni, eguagliando i dati del 2011 e del 2012, quando ci furono 43 esecuzioni. Desta ulteriore preoccupazione il fatto che il dipartimento della Guerra (ex dipartimento della Difesa) ha iniziato le procedure, per la prima volta dopo oltre 60 anni, per riprendere le esecuzioni militari. Il presidente Trump, che alla fine del 2024 aveva già invocato la pena di morte per “stupratori, assassini e mostri”, ha usato toni incendiari nei confronti degli autori di gravi crimini contro “cittadini americani”; ha attaccato i giudici che ritengono incostituzionale l’uso della pena di morte fornendo così l’impressione di voler perseguire una politica di “tolleranza zero” nei confronti della criminalità, sebbene i numeri dimostrino che questa sia in calo.

Le informazioni raccolte da Amnesty International mostrano che in Kuwait le esecuzioni sono triplicate: 17 nei primi nove mesi del 2025, rispetto alle sei di tutto il 2024. Anche Singapore ha superato i dati del 2024: 12 esecuzioni all’8 ottobre 2025 contro le nove di tutto il 2024.

Nel corso dell’anno, tre stati hanno ripreso a eseguire condanne a morte: Emirati Arabi Uniti, Giappone e Taiwan. I dati sull’uso della pena di morte in Cina, Corea del Nord e Vietnam restano un segreto di stato, ma dalle informazioni raccolte da Amnesty International pare che le esecuzioni procedano allo stesso ritmo e che solo in Cina siano migliaia.

In alcuni stati la pena di morte è utilizzata come strumento di repressione politica, con un impatto sproporzionato sui gruppi marginalizzati (come i curdi, gli afgani e i beluci in Iran o gli sciiti in Arabia Saudita). I reati per i quali vengono emesse le condanne a morte, al termine di processi gravemente irregolari, riguardano presunte minacce alla sicurezza dello stato, appartenenza a gruppi terroristi o, nel caso dell’Iran soprattutto dopo la “guerra dei 12 giorni”, lo spionaggio in favore di Israele. Nella Repubblica Democratica del Congo il numero delle condanne a morte è balzato alle stelle negli ultimi mesi nell’ambito di una campagna per combattere “il tradimento all’interno delle forze armate”. Lo stesso ex presidente Joseph Kabila è stato condannato a morte in contumacia, il 30 settembre scorso, per il medesimo reato.

Nonostante tutti questi passi indietro, la speranza di un mondo senza esecuzioni non viene meno. Il 25 giugno scorso il parlamento del Vietnam ha eliminato la pena di morte dal codice penale per otto reati. In Malesia, dove nel 2023 l’obbligo della pena di morte per determinati reati era stato abolito, sono state commutate oltre 1000 condanne e, il 21 luglio scorso, l’ufficio del primo ministro ha annunciato che la moratoria sulle esecuzioni istituita nel 2018 sarebbe rimasta in vigore. Ad oggi 113 Stati hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e quasi tre quarti di tutti gli stati del mondo lo hanno fatto nelle leggi o nella prassi. (11 ott – red)

 

 

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