“Ti amo ma non mi piaci più. Lo so che è esagerato e contraddittorio dirlo, ma questa frase, che in effetti assomiglia a un titolo, riassume lo stato d’animo di un milanese inquieto”. Si apre così un intervento di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera. “L’educazione sentimentale di questa città, che si è sempre sentita diversa dal resto d’Italia (ma senza farlo pesare), proibisce di apparire troppo e anche di lamentarsi più di tanto – si legge -. È una regola antica, frutto della saggezza popolare, ma anche di un tratto elegante e peculiare della cittadinanza ambrosiana venuto sciaguratamente meno negli ultimi tempi. Siamo stati troppo sotto i riflettori del mondo, al punto da essercene abituati. Al punto di aver subito, in certi casi, quasi una mutazione antropologica. La notorietà è una droga a lento rilascio, libera gli istinti peggiori. E noi milanesi ci siamo fatti ammaliare da questa inebriante centralità ritenendo che ogni traguardo fosse possibile. Un’ebbrezza irrazionale. La recente inchiesta giudiziaria sul settore immobiliare – che per ora mi sembra fondata su un pregiudizio morale e non su fatti concreti – è un acceleratore di questo malessere. Ma anche la spia di qualche patologica esondazione degli interessi privati su quelli pubblici e la dimostrazione che, quando si è troppo celebrati, si cade nell’equivoco di pensare che il benessere tocchi tutti. Non è così. Se si può fare un appunto all’attuale amministrazione, ma forse sarebbe accaduto anche con maggioranze diverse, è di essersi accorta in ritardo che la crescita di Milano non corrispondeva più a quella dei suoi cittadini meno fortunati. Ma i riflettori degli investimenti internazionali erano così accesi e splendenti da nascondere disagi e turbamenti. Il punto di svolta è stato il Covid che ha spento le luci del centro storico e illuminato le sofferenze delle molte e troppe solitudini, soprattutto degli anziani ma anche della povertà (incredibile) di molti bambini. Nel silenzio del lockdown è apparsa visibile la frattura tra la Milano internazionale e del glamour e quella che faticava ad arrivare alla fine del mese. Due città drammaticamente separate”. “I costi esorbitanti, ma abbordabili, per chi sta in alto – prosegue il giornalista e saggista, già direttore del quotidiano -, hanno fatto lievitare i prezzi e le tariffe dei servizi anche di chi sta in basso e ha redditi fissi impoveriti. È diventata una città per ricchi e, qualche volta, persino per super-ricchi. Grazie anche alla tassazione agevolata per i nuovi residenti che consente di pagare una flat tax – innalzata con l’ultima manovra di bilancio a 300 mila euro l’anno – così favorevole da trasformare l’Italia in un “paradiso fiscale”. Più attraente di molti cantoni svizzeri o di Abu Dhabi. E, infatti, in qualche angolo, assomiglia alle finzioni levigate dell’architettura emiratina del deserto. Dove tutto è aria condizionata, ma anche viziata dagli agi sibaritici. L’aria di Milano non è pulitissima (eufemismo) ma non è viziata. O perlomeno non lo era. Oggi rischia di esserlo. Non me la prendo – ci mancherebbe – con i circa cinquemila “Paperoni” che hanno scelto come residenza Milano, ma mi domando se si sentiranno mai milanesi, se un po’ gli importerà della città che li accoglie con un tappeto rosso di privilegi. Oppure resteranno semplicemente residenti fiscali e fantasmi cittadini”. De Bortoli sottolinea che che “Milano è poi una città universitaria, ma non si percepisce colpevolmente come tale. Nei suoi otto atenei studiano oltre 230 mila studenti. Le richieste di iscrizione alla Bocconi presentate dalle matricole straniere per il nuovo anno accademico sono più numerose di quelle italiane. Queste ragazze e questi ragazzi sopportano canoni d’affitto scandalosi per case sempre meno trovabili. La costruzione degli studentati è stata tardiva, le pretese dei costruttori non combaciano con la necessità dei rettori di avere canoni mensili abbordabili. Anche in questo caso ci si è accorti, in ritardo, che il successo di Milano “capitale della conoscenza” non corrispondeva più alla possibilità di attrarre studenti da tutto il mondo, senza doverli selezionare per censo e reddito”. E conclude: “Milano che sa stupire potrebbe inventarsi una card per semplificare la vita dei suoi studenti, nei trasporti, nel vitto e nell’alloggio. Sarebbe il più grande investimento sulla reputazione cittadina e italiana che si possa immaginare. E forse per questa ragione non si farà mai”. (9 nov – red)
(© 9Colonne - citare la fonte)




amministrazione