Decadente sì, ma non decaduto: Giovanni Pascoli. Insieme al Carducci, al D’Annunzio ed al Leopardi, fa parte della quaterna antologica che ogni italiano ha incrociato nel percorso della propria umanizzazione. Lo si è letto, poi lo si è dimenticato. Eugenio Montale diceva che la cultura è ciò che resta quando si sono dimenticate le nozioni. Sembra che non sai, che non ricordi le cavalline storne, la violenza canora della rima AA BB ("O cavallina, cavallina storna,/che portavi colui che non ritorna;/lo so, lo so, che tu l'amavi forte!/Con lui c'eri tu sola e la sua morte). Che non ricordi la giocosità elementare di “Sera Festiva” (O mamma, o mammina, hai stirato/la nuova camicia di lino?/Non c'era laggiù tra il bucato,/sul bossolo o sul biancospino./Su gli occhi tu tieni le mani.../Perché? non lo sai che domani...?/din don dan, din don dan), dove l’alternanza della rima AB AB non guasta la pulizia-Dash di questi versi. A malapena ricordi la poetica del fanciullino, ti ricordi che quella t’era piaciuta, perché parlava di te (allora parlava di te). Tu sei italiano anche e soprattutto se non ricordi: se le cavalline e le mammine (e sempre risuona in questa lirica il Carmelo Bene-Pinocchio che si rivolge alla fatina e la supplica: “mammina, mammina”) sono evaporate trasformandosi in comportamento. Dal 23 gennaio è in rete il portale pascoliano, promosso dalla Soprintendenza Archivistica della Toscana e dalla Normale di Pisa. Sono consultabili oltre 60.000 documenti, tra carteggi e autografi della produzione del letterato di Castelvecchio. Provengono tutti dalla casa che Pascoli abitò con la sorella Maria, nella quale lei conservò in uno scrigno ogni traccia del genio di suo fratello. Alla morte del poeta (1912) Maria pretese che la casa diventasse una specie di sacrario pascoliano. C’è riuscita. Poi ha dimenticato le nozioni, ed ha aperto la porta di casa, trasformandola in portale, cioè in comportamento disponibile a tutti.
Valerio de Filippis
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