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Per il secondo anno
popolazione in calo

di Gian Carlo Blangiardo

Dopo aver etichettato il 2015 come “l’anno dei record” – dal minimo sul fronte della natalità, alla crescita anomala dei decessi, sino a un calo della popolazione che ha evocato i tempi della Grande Guerra – i primi dati relativi alla dinamica demografica nell’anno in corso non potevano che destare interesse e curiosità: riuscirà il 2016 a far rientrare la demografia italiana nei parametri di quieta transizione verso una stagione di sostanziale stazionarietà numerica in un contesto di maturità strutturale? Il vento è cambiato. Oppure, come dirà qualcuno con un po’ di cinismo, le foglie secche cadute nel 2015 hanno tolto dall’albero della popolazione italiana a rischio di mortalità – in un 2016 già di suo clemente sul piano meteorologico e epidemico – la componente tradizionalmente più esposta. Il bilancio dei primi cinque mesi dell’anno, per i quali i dati mensili Istat offrono un prezioso resoconto, mostra nel complesso 24mila decessi in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e riporta il dato parziale a tutto maggio (268mila casi) in linea con il corrispondente dato del 2014.
Su base annua si verrebbero così a stimare 596mila morti nel 2016: ben 52mila in meno rispetto al 2015. Se si pensa che applicando alla struttura per sesso ed età al 1° gennaio 2016 le probabilità di morte più recenti – quelle osservate in un anno “clemente” come è stato il 2014 – si conterebbero 629mila morti (ben 33mila in più rispetto a quanto si è stimato), viene onestamente da ricredersi sugli allarmismi dello scorso anno. Sembra dunque doveroso ammettere che il record del 2015 è dipeso da fattori congiunturali (le mancate vaccinazioni combinate a un inverno rigido con l’aggiunta del picco di calura estivo) e non, come si temeva, da un pericoloso indebolimento del sistema sanitario a discapito soprattutto delle fasce più deboli. Evviva!
Ma la festa finisce qui. La stessa fonte statistica mette infatti in luce come la minor mortalità ipotizzata per l’anno in corso non sarà sufficiente a garantire un saldo naturale equilibrato (o almeno poco squilibrato), né ad impedire che anche nel 2016 si registri un significativo calo della popolazione residente. Il supporto statistico alla cattiva notizia arriva dal fronte della natalità: i 184mila neonati venuti al mondo nei primi cinque mesi del 2016 sono infatti 12mila in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (-6%). E se dunque nel 2015 il conteggio finale è stato da minimo assoluto (486mila nati) – mai così in basso negli oltre 150 di storia del Paese – tutto lascia supporre che il bilancio del 2016 segnerà un “miglioramento” del primato. L’estrapolazione su base annua del dato parziale gennaio-maggio fa ipotizzare 457mila nascite per l’intero anno. Va da sé che il saldo naturale, pur senza riproporre la punta negativa di 162mila unità dello scorso anno, sembra comunque destinato a restare solo poco al di sotto (la stima è di -139mila); così che, se dovesse persistere il modesto contributo da parte del saldo migratorio già rilevato nella prima metà del 2016, il totale dei residenti in Italia scenderebbe ancora – e per il secondo anno consecutivo, – in modo considerevole (-86mila).
Non si può certo dire che la demografia di questi anni sia priva di pathos. Si è rapidamente passati dalla legittima paura, di tipo “individuale”, legata all’accrescersi del rischio di mortalità (almeno tra i meno giovani) a una forma di altrettanto legittima preoccupazione (se proprio non paura) sul piano della sopravvivenza di una società che vede anno dopo anno ridursi la frequenza di nati. Certo se ripetessimo un esercizio/gioco che è stato fatto con la dinamica dei matrimoni arriveremmo a dire che, a colpi di -29mila ogni anno, nel 2032 saremmo un paese a “zero nati”. Ma ovviamente questa è pura fantascienza. Resta tuttavia il segnale di una tendenza che prosegue indisturbata e lascia il segno senza che, per altro, ci sia una qualche iniziativa seria per tentare di contrastarla.Forse basterebbe incrociare le dita e sperare che, come sembra sia accaduto per la mortalità, la congiuntura sfavorevole vada esaurendosi. Chissà? Forse a dicembre i dati definitivi per l’intero anno ci racconteranno un’altra storia.
O forse no, e allora avremo perso altri sei mesi, per immaginare e mettere in campo una qualche soluzione.

(da neodemos.info )

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