“L’IRADIDDÌO” RACCONTATA DA MARCO POZZA
La parola “Iradiddìo”, usata in senso figurato, indica un’eccedenza, l’incapacità di dare una misura. Una parola che Marco Pozza ha voluto abbinare alla figura di Cristo: “Di Uno così, il mondo è ancor lì che si scervella: ‘Quanto costa amare così?’ L’iradiddìo”. “L’iradiddìo” di Marco Pozza (San Paolo) è un ritratto personale di Cristo colto nella sua allegrezza: la lotta tra Lucifero e il Creatore, la bellezza e la menzogna. È la stagione della Chiesa, l’antica storia della Salvezza ridisegnata dal passaggio di Cristo: “La partita è tutt’ora in corso: vite esagerate da una parte, vite senza aggettivi dall’altra”. Sullo sfondo, impalpabile, sta all’erta Maria: un’iradiddidìo di tenerezza. Questo libro è un viaggio nella vita di Gesù di Nazaret scandita in quattro capitoli – uno per ogni stagione – giocati attorno al numero tre: le tre ore di buio sul Golgota, i trent’anni di vita nascosta a Nazaret, i tre anni di magistero in Galilea, i tre giorni del Triduo a Gerusalemme. Una storia incastonata in un’altra posta in apertura e in chiusura del volume: il racconto di Salvatore, un povero cristo di stanza in una patria galera che, la notte di Natale, crea una delle definizioni più affascinanti di cosa sia per lui la storia di Cristo. Marco Pozza (1979) è sacerdote, teologo e scrittore. Cappellano di una patria galera nel Nord-Est d’Italia, ha sposato una frase di san Giovanni XXIII: “Non siamo al mondo per custodire un museo, ma per coltivare un giardino». Con il linguaggio della poesia e uno stile di sorpresa, ha scelto di abitare le periferie più estreme, laddove il contrasto tra vita e morte è più ardito e appassionante. Il suo sito internet – www.sullastradadiemmaus.it – è un crocevia affollatissimo di ragazzi che incontra nelle strade, nelle scuole, nei teatri e coi quali spezza il pane della Buona Novella. Ha esordito con il romanzo “Penultima lucertola a destra” (2011), cui ha fatto seguire “Contropiede” (2012) e “Il pomeriggio della luna” (2016). Con i suoi saggi – “L’odore del gregge” (2013), “L’imbarazzo di Dio” (2015) e “L’agguato di Dio” (2015) – si segnala come uno tra gli autori spirituali più interessanti del panorama nazionale.
“LAVORO A MANO ARMATA” DI PIERRE LEMAITRE
Alain Delambre ha cinquantasette anni, una moglie e due figlie ormai adulte. Una vita passata a lavorare come responsabile delle risorse umane. Poi la crisi, il licenziamento, la disoccupazione. Un lavoretto per tentare, con scarso successo, di far quadrare i conti. E all’orizzonte la seconda chance, quella che può ridare un senso a tutto: un nuovo lavoro, che sembra ritagliato sul suo percorso professionale. Da non crederci, alla sua età. Alain però ci crede, vuole crederci. Per via della speranza, “quella canaglia”, come direbbe Charles, l’unico vero amico che gli è rimasto, un barbone che vive dentro una Renault 25. Ed è grazie a questo ritrovato ottimismo che Alain inizia a scivolare in una serie di situazioni poco chiare che dapprima sottovaluta. L’uomo è pronto a tutto pur di ritrovare la vita che ha perso, pur di riuscire a tirare su la testa e a guardare di nuovo le figlie negli occhi. È pronto anche ad allontanarsi dall’amata moglie Nicole, quando lei inizia a porre troppe domande. Che Alain, come test da superare per essere assunto, partecipi a un gioco di ruolo, organizzato per mettere alla prova i quadri di una grande azienda, per lei non è accettabile. Ma il signor Delambre è un uomo che non vuole diventare l’ennesima vittima della crisi, vuole lavorare, e il lavoro è pronto a prenderselo, se necessario, anche a mano armata. Questa la trama di “Lavoro a mano armata” di Pierre Lemaitre (Fazi). L’autore, maestro del noir e vincitore del Premio Goncourt 2013, trae spunto da un fatto di cronaca per scrivere un romanzo di scottante attualità in cui la realtà della disoccupazione diventa una storia di violenza, psicologica e fisica. Forte di un attentissimo scavo sociale, Lavoro a mano armata è una storia del nostro tempo, come nessuno l’ha mai raccontata.
“IL DENARO”, UNA STORIA DI ZOLA PIÙ CHE MAI ATTUALE
La speculazione internazionale ideata da Aristide Saccard, che Émile Zola racconta nel romanzo “Il denaro” (Sellerio, a cura di Fabio Grassi), poderoso e profetico affresco dell’economia finanziaria globalizzata, è tutt’altra cosa dal disegno di possesso di un avaro: è il sogno di rinascita e distruzione di un visionario assetato di vita. E in questo lo scrittore francese riesce a cavare l’essenza di quell’astrazione capitalistica, il denaro, l’argent (che ironicamente in francese significa anche argento), così come si sublima nel mercato delle borse: con la cui stranezza conviviamo familiarmente e che allora iniziava a prendere la sua forma di impalpabile mostro. Siamo nella Francia del Secondo impero, di Napoleone “il piccolo”, epoca d’oro per gli affaristi abbarbicati nella Borsa di Parigi, allora mercato del mondo. Un uomo piccolo dalle grandi ambizioni, Saccard, già rovinato da un passato tracollo, immagina un’immane impresa: la Banca Universale, finanziata da una massa di investitori allettati dal boom, e connessa alla costruzione di una rete ferroviaria intorno al recente taglio del Canale di Suez. Suoi compagni d’avventura sono un geniale ingegnere di ideali positivistici e una giovane vedova innamorata. Immediatamente si accende il fuoco speculativo, e Saccard è spinto verso il trionfo dalla crescente ebbrezza dei suoi anonimi finanziatori di varia fortuna. Ma un potente nemico domina meglio le leve dell’illusione e della crisi. Ispirato a una storia vera di euforia e di panico, del 1882, con personaggi costruiti fondendo insieme figure vere di banchieri, questo romanzo del 1891 si inoltra negli ingranaggi più dettagliati del sistema finanziario ed è considerato una precisa prefigurazione di eventi futuri e anche recentissimi. Ma questo quadro è delineato dalle storie minute di moltissimi personaggi, attraverso le loro speranze e i loro progetti di vita. Nella lotta fatale che si svolge tra l’affarista impetuoso e il suo gelido avversario banchiere, non manca il romanzesco e la suspense, il colpo di scena e il comico. E non manca nemmeno il romanzo di idee; i modi di pensare dei personaggi descrivono il nascere, in una società da poco uscita dalla supremazia del ceto sulla ricchezza, dei moderni cliché e dei dogmi correnti sul mondo degli affari. Nonostante la sfida di Aristide Saccard, i suoi modi spietati e i suoi pregiudizi contengano valori inaccettabili, è difficile, però, non parteggiare in qualche misura per lui. E questa ambiguità è forse il punto di forza del romanzo, illustrando il carattere di distruzione e creazione del capitalismo: “la speculazione è il richiamo stesso della vita, è l’eterno desiderio che costringe a lottare, a vivere; è nel piano della natura”.
ARMANDO MASSARENTI, “METTI L'AMORE SOPRA OGNI COSA”
Ama veramente chi è capace di non amare troppo. Questo ci insegna la filosofia: pur sapendo bene che l'amore “è sopra ogni cosa” ed è persino alle radici della filosofia stessa. Grazie all'Eros povero e scalzo impersonato dal più grande e atipico dei maestri, Socrate, la filosofia ci insegna ad amare, ma non troppo. Ovvero, ci invita ad amare, e in definitiva a vivere, facendo un buon uso delle nostre passioni e dei nostri piaceri senza lasciarci trascinare dagli eccessi dell'innamoramento, una delle poche follie che godono di un'ampia legittimazione sociale. Per far questo, e per vivere bene, abbiamo bisogno di un'etica che dell'amore ci faccia evitare i fanatismi e i picchi totalizzanti di entusiasmo. L'amore, ha scritto Ovidio, è come andare “per la prima volta soldato in una terra sconosciuta”, ma a ben vedere ciò è vero per tutta la nostra vita morale e per i dilemmi che quotidianamente ci pone il nostro rapporto con gli altri che, proprio come l'amore, diceva Sartre, può trasformarsi in un inferno. In “Metti l'amore sopra ogni cosa” (Mondadori) Armando Massarenti, attingendo alla sapienza classica e moderna – da Platone a Ovidio, da Wittgenstein a Iris Murdoch – ma anche a spunti provenienti dalle neuroscienze, coniuga filosofia, logica ed epistemologia al fine di proporre al lettore una bussola per orientarsi in quella terra sconosciuta. Una filosofia pratica in grado di regalarci un bene prezioso: la possibilità concreta di stare bene con gli altri.
FEDERICO INVERNI TORNA CON IL RESPIRO DEL FUOCO
Con “Il respiro del fuoco” (Corbaccio), torna in libreria Federico Inverni, l'autore italiano dall'identità segreta che con “Il prigioniero della notte” ha stregato lettori e editori internazionali. Manca poco al tramonto quando il cielo grigio e nero che incombe sulla città di Haven si accende di un rosso infuocato. Ma quel bagliore non proviene dal sole calante che tenta di illuminare uno degli ultimi giorni che precedono il Natale. È il rosso violento di un incendio scaturito sulla cima di una collina in periferia, nella cittadina abbandonata di Eden Crossing. Il respiro del fuoco non ha lasciato scampo: l’eccentrico tempio che accoglieva il reverendo Tobias Manne e i suoi adepti è ora un sepolcro ardente con decine di vittime. La profiler Anna Wayne e il detective Lucas sono arrivati troppo tardi per impedire quel suicidio rituale... ma qualcosa appare assurdamente incongruo. Qualcuno è riuscito a dominare il fuoco, a farsene padrone. E forse quello non è un suicidio collettivo, ma la più efferata delle stragi, messa in atto da una mente visionaria e geniale. Perché esiste soltanto una cosa più affascinante e pericolosa del manipolare il fuoco: manipolare le menti. Mentre in città la notte arde di altri fuochi, Anna e Lucas devono sfidare il tempo per riuscire a elaborare un profilo del killer, ricostruire la storia delle vittime e individuare la più sfuggente delle ombre, prima che uccida ancora. Ma ogni indagine ha un prezzo, e quando sia Anna sia Lucas scoprono che quel caso affonda le radici nel loro passato, nei loro segreti, sono costretti a chiedersi se possono davvero fidarsi l’una dell’altro... O se invece, come predicava il reverendo Tobias Manne, non sia il momento di compiere l'ultimo passo: accettare l'inaccettabile.
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