II 20 aprile 1978 il vicecomandante del carcere di San Vittore, Francesco Di Cataldo, classe 1926, sposato con due figli, venne ucciso da due terroristi delle Brigate rosse mentre camminava verso la fermata del filobus per andare a lavorare. Nei suoi 28 anni di servizio nel penitenziario milanese, Di Cataldo si prodigò per migliorare le condizioni sanitarie dei detenuti e, soprattutto, per dare loro la possibilità di svolgere un lavoro. Da oggi (con una cerimonia alle 11) il carcere di San Vittore sarà intitolato a Di Cataldo. Il Corriere della Sera pubblica la lettera con cui lo ricorda il figlio Alberto, che all'epoca aveva 19 anni: “Caro papà, quella sera entrasti in casa con un grosso interruttore elettrico. Lo passavi da una mano all'altra e lo guardavi felice come un bambino. Perché quell'euforia? Cominciai a capirlo mesi dopo. E precisamente da quando, alle 7 e 10 del 20 aprile 1978 mi affacciai al balcone e ti vidi disteso per terra, supino. Scesi le scale appena in tempo per vedere i tuoi occhi verde azzurro sgranati. Un lenzuolo bianco scese sul tuo corpo e noi due non potemmo più parlarci. Tutta colpa di quell'interruttore. E delle prime lavorazioni manuali che dall'esterno si introducevano in carcere. Nelle mani impazienti dei detenuti di San Vittore, il carcere di cui eri vicecomandante e punto di riferimento per molti, l'assemblaggio manuale rafforzava la tua convinzione di sempre: il lavoro. Il lavoro è la principale attività per la rieducazione dei condannati. Molti tuoi colleghi condividevano, qualcuno diffidava ma tu andasti avanti”, “ma avevi ragione tu. Il lavoro ai detenuti abbatte la recidiva da oltre 70% a meno del 19%. In alcuni casi a1 12%. A Milano. Lavoro vuol dire meno detenuti in carcere. Minor spesa pubblica e più sicurezza. Che onore al concittadino Cesare Beccaria, ai suoi delitti e alla sua concezione delle pene”, “il lavoro di lunga durata, l'unico che lascia tracce che altri, dopo di noi, non possono cancellare. Per me, dirigente pubblico, è tuttora l'insegnamento più potente che mi hai lasciato. Oggi Milano è un esempio, non solo nazionale, del tentativo permanente di rieducare i detenuti. Vi partecipano le carceri, gli altri enti pubblici e un numero impensabile di associazioni, cooperative e singoli volontari. Dentro questo immenso, faticoso e necessariamente incompleto lavoro trovo sempre una traccia di te. Passando da Piazza Filangieri 2, un simbolo di Milano come il Carcere di San Vittore si chiamerà, da oggi, San Vittore-Francesco Di Cataldo. Credo che tu te lo sia meritato. Sei stato sicuramente un bravo funzionario dello Stato. E sei stato un buon padre. Assente da quarant'anni, ma sempre presente. Fino a togliere il respiro”. (25 ott - red)
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