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direttore Paolo Pagliaro

Primo tour negli stadi
per Cesare Cremonini

Musica
Concerti, dischi, biografie, tributi e novità dalla Rete. Lo "Speciale musica" si snoda lungo il variegato mondo del rock e del pop attraverso personaggi, sonorità e aneddoti "unici nel loro genere". Ogni settimana vengono pubblicate le notizie riguardanti gli artisti italiani e stranieri, dai mostri sacri alle giovani promesse nate nei talent show. Un servizio che consente di essere sempre aggiornati sulle hit del momento e sulle star immortali.

Primo tour negli stadi <BR> per Cesare Cremonini

Partirà a giugno il nuovo tour di Cesare Cremonini, “Stadi 2018”, che segnerà il ritorno del cantautore bolognese dopo due anni di lavoro di scrittura e produzione in studio. Il 24 novembre uscirà, infatti, il suo nuovo album di inediti “Possibili scenari”, il decimo della sua discografia, e che sarà anticipato il 3 novembre dal primo singolo “Poetica”. Tornando ai live, il tour lo porterà per la prima volta a esibirsi sul palco di quattro importanti stadi italiani: il 15 giugno a Lignano (Stadio Teghil), 20 giugno a Milano (Stadio San Siro), il 23 giugno a Roma (Stadio Olimpico) e in chiusura a Bologna il 26 giugno allo Stadio Dall’Ara. Quattro concerti in cui Cremonini ripercorrerà i 18 anni della sua carriera. (Peg)

DA IL MURO DEL CANTO ALLA CARRIERA SOLISTA, IL PRIMO ALBUM DI DANIELE COCCIA PAIFELMAN

Da Il Muro del Canto alla carriera solista. Il grande passo di Daniele Coccia è stato appena compiuto, perché il cantante, autore e fondatore della band romana ha infatti pubblicato oggi il suo primo lavoro in solitaria, “Il cielo di sotto”. Per questa sua nuova avventura, ha scelto però di aggiungere qualcosa al proprio nome: il cognome della madre, Paifelman. L’album, prodotto da Piotta ed Emiliano Rubbi, è stato scritto da Coccia insieme a Eric Caldironi, e sancisce il suo ritorno alla lingua italiana dopo tre album in dialetto romanesco con Il Muro del Canto. In questo suo esordio, Coccia è stato accompagnato da Leonardo Angelucci (chitarra elettrica e voce), Matteo Troiani (basso) e Tommaso Guerrieri (batteria), che formeranno la sua band per i prossimi live. Sono infatti già state confermate alcune date de “Il cielo di sotto – Tour”: il 21 ottobre a Roma, Monk; il 28 ottobre a Benevento, Morgana; il 4 novembre a Palestrina (RM), Mentelocale; l’11 novembre a Napoli, MMb; il 25 novembre a Latina, Sottoscale9; il 16 dicembre a Perugia, Bar Tender; il 22 dicembre ad Amelia (TR), Rock Garden; 23 dicembre, a Tivoli Terme, Dissesto Musicale. (Peg)

“INFEDELE”, ESCE OGGI IL NUOVO ALBUM DI COLAPESCE

Esce oggi “Infedele”, il nuovo album di Colapesce, prodotto dallo stesso cantautore siciliano (al secolo Lorenzo Urciullo) insieme a Jacopo Incani, in arte Iosonouncane, e Mario Conte, che con Colapesce aveva già collaborato a “Egomostro”. Anticipato da due brani – “Ti attraverso”, pubblicata lo scorso sei settembre in occasione del 34esimo compleanno di Colapesce, e “Totale”, uscita il 22 settembre e accompagnata da un video per la regia di Ground's Oranges – “Infedele” sarà accompagnato da un tour in club e teatri. Queste le date confermate al momento:11 gennaio a Milano, Santeria Social Club; 12 gennaio a Torino, Cap10100; 18 gennaio a Bologna, Teatro Antoniano; 19 gennaio a Roma, Auditorium Parco Della Musica; 24 gennaio a Catania, Teatro Odeon; 26 gennaio a Conversano (BA), Casa Delle Arti; 27 gennaio a Napoli, Heart; 2 febbraio a Mestre (Ve), Spazio Aereo. (Peg)

BOLLANI, È USCITO IL NUOVO ALBUM “MEDITERRANEO”

Rivisitare in chiave jazzistica alcuni capolavori del repertorio classico italiano, che va da Rossini a Puccini fino a Ennio Morricone e Paolo Conte, passando da Nino Rota e Monteverdi. È questa l’idea da cui nasce “Mediterraneo”, il nuovo album di Stefano Bollani in uscita oggi. Si tratta di un live, registrato nella Sala Grande della Berliner Philamornic lo scorso 12 giugno. A suonare, un insolito gruppo musicale formato da una matrice jazz rappresentata, oltre che dal piano di Bollani e dai componenti del suo Danish Trio - Jesper Bodilsen al contrabbasso e Morten Lund alla batteria - con l’aggiunta della fisarmonica di Vincent Peirani, da quattordici musicisti da camera dell’Orchestra Filarmonica di Berlino, che si dimostrano anche raffinati improvvisatori. Il tutto diretto dal norvegese Geir Lysne, curatore anche degli arrangiamenti, che già aveva collaborato con Bollani in “Big Band”. (Peg)

NOHAYBANDA, IL 3 NOVEMBRE ESCE IL NUOVO ALBUM

Erano in tre, ora sono in due, suonano come se fossero quattro ma il loro nome dice che non sono neanche una band. I Nohaybanda sono uno di quei gruppi che in Inghilterra o negli Stati Uniti apprezzerebbero in molti ma che in Italia faticano a imporsi, pagando a caro troppo prezzo il loro essere un duo strumentale e dal gusto matematico, come la “metà” Lele Tomasi, batterista e dottore proprio in Matematica. L’altro 50% è il polistrumentista tentacolare Fabio Recchia, e ancora insieme il 3 novembre pubblicheranno un nuovo disco, dal titolo, appunto “NoHayBanda”.

La prima cosa che si guarda di una band è il nome. Qual è la genesi del vostro?
F.: “L’idea musicale del progetto risale al 2001 e l'intenzione era di sfruttare una componente polistrumentistica per riuscire a gestire più strumenti in pochi musicisti. Intanto al cinema, durante ‘Mulholland Drive’, la scena sul ruolo del playback a teatro mi strappa il cervello: quel ripetere ‘No hay banda, non c'è una banda’ faceva assolutamente scopa con l'idea che avevo per il progetto nascente”.

Con il tempo, invece di aggiungere elementi, voi ne avete addirittura diminuito il numero. Cosa ha comportato?
L.: “Intanto che è stato possibile entrare con tutti gli strumenti nella Panda a metano di Fabio. Inoltre ci ha permesso di stare di più ‘on the road’ e in situazioni underground che a noi piacciono tanto, anche a discapito della comodità. Dal punto di vista musicale, il gruppo ha perso il contrappeso jazzistico soprattutto nel suono. ha prevalso una natura più elettronica sia per l'uso di arpeggiatori che di trigger, che aggiungono agli elementi acustici della batteria dei suoni campionati. Rimangono delle parti di improvvisazione ma sono più concise e non più solistiche e si è ridotta l'esplorazione di dinamiche basse a favore di un sound più aggressivo e compatto, che a volte diventa romantico e psichedelico.
F.: “Questo cambiamento è avvenuto in Norvegia, poco prima del tour negli Stati Uniti. Abbiamo avuto modo di riorganizzare il set e integrare il suono del gruppo con una nuova componente elettronica, con ancora più variabili e strumenti da gestire. Questa prova americana di 28 concerti in 34 giorni ci ha molto fortificato e ha rinnovato il nostro amore per la vita ‘on the road’”.

Quando si recensiscono i dischi si utilizzano spesso paragoni con altre band e altri lavori. Proviamo invece a definire l’ascoltatore dei Nohaybanda. Chi può ascoltare la vostra band oggi?
L. “Una volta mio padre ha detto che il ‘nohabanda’ non strizza l'occhio a nessuno e la cosa ci ha fatto sorridere. Effettivamente non abbiamo mai coltivato deliberatamente un genere o un tipo di pubblico, ma ci sono tantissime persone che ci vogliono bene e ci sostengono in questa impresa. Sicuramente chi viene ai concerti deve essere preparato a essere un po' spettinato, tranne se è calvo come me. È stato bello in questo ultimo tour vedere persone di diverse età che ballavano anche su parti di improvvisazione in cui la metrica era quanto meno stravagante, ma che però, evidentemente, avevano una pulsazione coinvolgente”.
F.: “Possiamo dire che il nostro piccolo pubblico è veramente eterogeneo; c'è chi si fomenta per le parti più rumorose, chi si diverte a subire i poliritmi, chi si emoziona nelle parti più romantiche stile soundtrack e chi è incuriosito dalla parte di improvvisazione. Il punto forte è la nostra onestà intellettuale, la nostra musica è esattamente come la vogliamo, non ci nascondiamo dietro le mode audio del momento, come purtroppo succede alla maggioranza delle band sia mainstream che indipendenti, sia di ricerca che underground. E soprattutto in Italia, dove è più importante apparire o entrare assolutamente in un giro piuttosto che dire la propria senza vincoli”.

Fabio, ciò che più colpisce è inevitabilmente il tuo set up. Chi assiste a un vostro live per la prima volta si domanda ma come ci sei arrivato.
Da pianista rocker, non volevo usare campioni di basso e chitarra ma volevo sentire le corde vere. Quindi ho provato a preparare gli strumenti per ‘vedere’ la tastiera del pianoforte piuttosto che basso e chitarra. Questa è sicuramente la parte più appariscente del set ma forse anche la più semplice. Adesso, in duo, c'è anche la componente elettronica e live sound design, quindi devo essere ancora più concentrato nel gestire trigger sulla batteria, synth e campionatore, riverberi, volumi e compressioni. Tutto in tempo reale!”.

Fabio, le idee dei pezzi in quale modo nascono?
“I pezzi di tutte le mie band sono scritti pensando come a un vestito perfetto e comodo per quel set, ma anche specifico per le peculiarità dei differenti musicisti coinvolti. Non parto da un tema, da un ritmo o da un giro armonico; non ci mettiamo in sala a provare improvvisando per cercare di inventare dei riff, bensì sono idee semicomplete che si manifestano da sole, prontamente ‘renderizzate’ dal mio cervello”.

Lele, sei un insegnante di batteria. Quanto provi a manipolare gli ascolti dei ragazzi, durante lo studio per portarli verso strade che reputi migliori?
“Ho sempre ascoltato la musica in modo incostante e frammentario. Forse il contenitore dove ho più conoscenze è quello della musica elettronica ma ho dei buchi pazzeschi anche lì. Inoltre sono timido e accondiscendente, e dunque non manipolo quasi mai l'ascolto dei miei allievi. E sono molto contento quando sono loro a farmi scoprire qualcosa di nuovo, cosa che accade molto spesso per i buchi di cui parlavo. Però no, Rovazzi non te lo faccio suonare mio caro allievo bambino”.

In Italia si ha sempre più la sensazione che i generi musicali più “di ricerca” abbiano meno spazio. Dall’altro lato, con un po’ di esterofilia, a volte si supervalutano prodotti sempre “di ricerca” ma di altre nazioni. Che ne pensate?

F.: “Lo spazio va creato insieme, e va creato con il confronto e la collaborazione, non con le competizioni e compartimenti stagni. Oggi c'è tanto di virtuale e poco di reale, tanti blur e grandangoli, tanti album ben confezionati e cesellati, ma spesso è la musica a mancare, soprattutto dal vivo. In Italia, però, è anche una questione di numeri: all’estero la professione di musicista è riconosciuta e supportata molto più che nella nostra nazione, e questo crea uno squilibrio pratico/emotivo nei nostri professionisti costretti troppo spesso a dover scegliere strade molto differenti da quelle di libertà e ricerca personale. Ci teniamo a sottolineare che il nuovo album è ‘No copyright’, con una copertina siliconica da oltre 3 cm, più illusione ottica, più timbri dell'artwork. In questo modo abbiamo realizzato quindi tutte copie uniche assemblate a mano una per una.
L.: “Sì è sempre più dura in Italia, ci sono sempre meno posti dove suonare e ci sono sempre meno persone ai concerti. Noi tendiamo a essere critici e ad avere i complessi di inferiorità, per questo avviene la supervalutazione di cui parli. Ciò che ho visto andando a suonare all'estero è che, invece, siamo apprezzati molto più di quello che pensiamo e siamo anche valutati più che a casa nostra. E a ragione: dove lo trovi, ad esempio, un gruppo bravo e simpatico come il Nohaybanda che ti cucina pure bene all'occorrenza?”

C’è un disco (non vostro) che vi mette d’accordo entrambi? E quello che avete ascoltato di più nella vostra vita?
F.: Quando siamo in tour ci piace ricreare l'atmosfera ‘alba al rave anni ‘90’ con Aphex Twin e altre storiche produzioni IDM di quel momento. Un disco più sentito non saprei, vado a periodi, come con i film. Ultimamente ho sentito ossessivamente "Mockroot" di Tigran Hamasyan.
L.: “Fino a un certo punto penso ai “Dead Kennedys” e in particolare a “Plastic Surgery Disasters”. Dopo i miei vent’anni potrebbe essere stato superato da “Richard D. James Album” di Aphex Twin”.

Qual è l’artista o il disco che apprezzate ma che si discosta di più da ciò che abitualmente ascoltate: insomma quello di cui vi vergognate un po’?
F.: “Purtroppo penso che l'arrangiamento di ‘Lost in the Week End’ di Cesare Cremonini spacchi, anche se è un po’ una citazione di ‘Electric Feel’ dei MGMT”.
L.: “Devo dire che i primi album di Vasco Rossi mi piacevano”.

Se foste nati nel 1995, che cosa suonereste adesso?
F.: “Non suoneremmo, ci faremmo i selfy!”
L.: “Sicuramente saremmo in free style sulla traccia che spacca”.

(© 9Colonne - citare la fonte)