Milano, 20 ago - L’incubo “made in China” sembra
non avere fine. Dopo il dentifricio all’anticongelante e i giocattoli al
piombo, dal paese della grande muraglia arrivano anche i vestiti alla
formaldeide. A dare la notizia è stata una trasmissione neozelandese che ha reso
noti i dati delle analisi sulla quantità di questo battericida negli indumenti.
La dose è risultata 900 volte superiore ai valori consentiti
dall’Organizzazione mondiale della sanità. Questo potente battericida trova
generalmente largo impiego nei disinfettanti (Lysoform e simili), così come
nella conservazione di materiale biologico ed anche nelle tecniche di
imbalsamazione. In realtà il suo utilizzo non è del tutto nocivo, infatti viene
anche utilizzato in soluzione acquosa per la produzione di vaccini. Ma la
maggior parte della formaldeide prodotta è destinata alla produzione di
composti chimici e trova uso nei laminati plastici, adesivi e schiume isolanti.
Dato il largo impiego di resine derivate dalla formaldeide nelle produzioni di
manufatti, rivestimenti e schiume isolanti, considerato che queste tendono a
rilasciare nel tempo molecole nocive nell’ambiente, la sostanza è una dei più
diffusi inquinanti di interni. Ad alte concentrazioni nell’aria può irritare
per inalazione le mucose e gli occhi. L’ingestione o l’esposizione a quantità
consistenti sono potenzialmente letali. Immediata la mobilitazione dell’Aduc
(Associazione dei diritti per gli utenti e i consumatori), che ha inviato una
lettera ai ministri della Salute, Livia Turco, e dello Sviluppo Economico,
Pierluigi Bersani, per saper se anche in Italia siano state fatte analisi dei
tessuti provenienti dalla Cina e quali siano i risultati. “La formaldeide -
spiega l’Aduc - è un cancerogeno e può provocare irritazione delle mucose degli
occhi, delle prime vie aeree e irritazione della pelle. La formaldeide è usata
come antimuffa e per mantenere la piega degli indumenti. Nel 2006 il 22,4% di
abbigliamento utilizzato in Italia proveniva dalla Cina (+22% rispetto al 2005)
mentre i prodotti tessili coprivano 19% (+31% rispetto al 2005)”. Per evitare
qualsiasi tipo di “contaminazione”, l’associazione consumatori consiglia di
lavare e ventilare i tessuti prima di indossarli. Ma sulla questione qualità,
il botta e risposta tra Usa e Cina continua. Sembra, infatti, che il governo di
Pechino abbia respinto una partita di pacemaker, importata dagli Stati Uniti,
per un valore di mercato di circa 250 mila dollari, considerata al di sotto
degli standard richiesti. La vicenda dei pacemaker di “cattiva qualità” sembra
seguire “ad hoc” il blocco delle importazioni di una serie di prodotti cinesi
da parte degli Usa e di altri Paesi, dopo la scoperta che essi contenevano
materiali pericolosi per la salute dei consumatori. Iniziata in giugno con il
blocco delle importazioni di dentifrici prodotti in Cina, la serie di scandali
ha toccato il suo picco con la vicenda della Mattel, l’azienda americana che in
due riprese ha tolto dalla circolazione circa venti milioni di giocattoli
prodotti su sua licenza in Cina. La grande ditta di giocattoli Mattel era stata
costretta a ritirare dagli scaffali di tutto il mondo diciotto milioni e
duecentomila giocattoli. Il colosso californiano decise a più riprese il ritiro
di un così elevato numero di pezzi, “come misura cautelativa” dopo aver
rilevato in giocattoli prodotti fino al 31 gennaio 2007 la presenza di piccole
calamite che potrebbero staccarsi dai prodotti e dunque essere ingoiate dai
bambini, risultando pericolose. Ad “allontanarsi dalle scene” Barbie, Batman e
Polly Pocket. Ma il “rischio giocattoli” non era solo in una piccola calamita.
Tra gli oltre diciotto milioni di pezzi richiamati dagli scaffali ce ne sono
anche 436mila della linea Cars, prodotti tra maggio e luglio