Torino, centouno anni fa. L’alchimia tra una pittrice e un ingegnere, che diede vita al più longevo premio Nobel della storia, Rita Levi Montalcini, deve essere stata più unica che rara, se si pensa che oltre alla grande scienziata italiana, generò Gino, scultore e architetto, e Paola, nota pittrice e sorella gemella di Rita. Una donna Rita, che se avesse dato retta al padre Adamo Levi, sarebbe finita a fare la moglie e la madre, come si conveniva a quei tempi, nell’Italia di inizio secolo, ed invece – forse la prima delle deviazioni dal destino che solo i geni sanno imporre al proprio cammino – diventerà scienziata e senatrice a vita. Il percorso della studiosa piemontese merita un ripasso per la sua esemplarità: a vent’anni si sentiva attratta dalla letteratura e chissà, avremmo avuto una degna socia di Elsa Morante – il più grande scrittore del novecento, come la definì un critico – nel povero panorama delle scritture al femminile. Invece le parve decisivo un dolore familiare, la morte della sua governante, e allora qualcosa la portò alla decisione di dedicarsi alla medicina, quando era il 1930. Studi medici che le fecero incontrare personalità eccellenti come i due futuri premi Nobel Salvator Luria e Renato Dulbecco, ed il padre di Natalia Ginzburg – un altro incrocio con le lettere – Giuseppe Levi, che la iniziò allo studio del sistema nervoso. Non andò tutto liscio, il fascismo le si mise di traverso, e fu costretta a riparare, come molti ebrei simili a lei, prima in Belgio, poi a Bruxelles, ma senza mai mollare l’osso della ricerca. Non lo molla nemmeno quando torna a Torino, e si costruisce un laboratorio in casa. La guerra non la vede chiudersi nella torre d’avorio del lavoro di ricerca, è sempre un medico, ed infatti diventa dottore delle forze alleate, ma troppi i decessi, e la cosa la prova molto. E’ l’America che nel 1947 la invita, per voce del biologo Viktor Hamburger. Lei immagina una breve sosta, tanto breve che dura trent’anni. La si ricorderà per sempre e in tutto il mondo grazie ad una sigla di appena tre lettere: NGF - il fattore di crescita nervoso, che le vale il premio Nobel per la medicina, insieme al suo studente, il biochimico Stanley Cohen, nel 1986. L’Accademia di Svezia spiegando il perché della scelta di Rita Levi Montalcini, scrive: «La scoperta del NGF all'inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos». Un apparente caos, come quello di scegliere la facoltà di Medicina, invece che quella di Lettere, per esempio. Quando un italiano pensa ad un’intelligenza partecipe delle sorti umane, pensa alla Montalcini, e forse anche in questo sta la sua dedizione nello studio della Sclerosi multipla. La Montalcini è una donna, e dice che: «L'umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi», ed è per questo che nasce la Fondazione Levi Montalcini, dedicata alla formazione dei giovani, ma anche al conferimento di borse di studio universitarie a giovani studentesse africane, con l'obiettivo di creare una classe di donne che svolgessero un ruolo centrale nella vita scientifica e sociale del proprio paese. Un po’ come ha fatto lei. Si chiuderebbe il cerchio magico della sua vita grandiosa se il prossimo premio Nobel per la medicina arrivasse dal continente nero, e magari le venisse dedicato.
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