Chiunque dovesse fare una scoperta nel chiuso della propria stanza, senza poi raccontarla al mondo, farebbe un esercizio di fierezza personale, inutile però per il resto dell’umanità; ecco perché il Premio Ippocrate (per la ricerca biomedica) viene assegnato ogni anno ai benemeriti nella comunicazione medico-scientifica, ed ecco perché nel 2010 è stata scelta per questo premio Adriana Albini. Chi è Adriana Albini? È una donna, madre di due figli, che vive e lavora a Milano, dove è responsabile della ricerca Oncologica dell’Irccs MultiMedica, si occupa quindi di ricerca attorno al male del secolo, in particolare di angiogenesi. E cos’è l’angiogenesi? Diciamo che è la strategia clinica che cerca di “soffocare i tumori”, ed in questo campo la signora è titolare di diversi brevetti. La divulgazione è qui che entra in gioco, quando cioè la Albini tira fuori dal cassetto il bel brevetto, prende carta penna e portatile, e siccome ha trovato il tempo di diventare anche giornalista professionista, oltre che madre e scienziata, scrive un articolo, magari per una delle riviste più qualificate d’America o d’Europa (senza snobbare le nostrane, sia detto per inciso), e così il cerchio magico si chiude, e l’eureka finisce in prima pagina. (Alcuni siti hanno fatto un conteggio e pare che gli articoli si aggirino tra i centoventi e i centosettanta, se la quantità può dirci qualcosa). Poi, dopo aver premuto “invio” sulla sua tastiera, e magari fatto una torta di mele per i suoi cari, si rimette a studiare gli aspetti molecolari di componenti dell’alimentazione, per l’attuazione di un programma di prevenzione delle malattie cronico-degenerative. Non è che si lima le unghie, che legge fotoromanzi. Una specie di santa, una santa moderna, contemporanea, almeno su carta senza increspature, una di quelle persone a cui affideresti volentieri le tue sorti, non solo in termini di salute, starebbe bene per esempio anche sulla poltrona di sindaco, per dire. Perché c’è un aspetto in questa donna che ha qualcosa di spassionatamente altruistico, che coniuga il rigore scientifico alle carezze che solo le madri sanno dare, non c’è un perché, ma è così; tanto che se vai a vedere, sotto al camice, dietro quelle carezze, trovi una spiegazione a tanta grazia. Adriana è (anche) una poetessa, una scrittrice, non una Mazzantini, nemmeno una Vallone, non una Murgia, né una Tamaro, ma “Discorso di un leader democristiano in attesa dell'anno nuovo”, “La famiglia”, “Un clone in valigia”, sono solo alcuni titoli della sua neanche tanto povera bibliografia letteraria, e la cosa fa curiosità. Racconta di lei, di una donna inesauribile, che forse scriveva già da bambina, che poi ha affinato la narrazione inventando storie per far dormire i suoi di bambini, e che infine, cerca sì il modo di soffocare i tumori, cosa che, in un certo senso, aveva già iniziato a fare quando scriveva e basta. Quando immaginava altri mondi, qualche personaggio, un lieto fine. Perché questo fanno gli scrittori prima dei medici: curano, aiutano a star meglio, soffocano i timori.
(© 9Colonne - citare la fonte)